Il pensiero come l’oceano non lo puoi fermare, non lo puoi bloccare: stArt up Taranto 2014
Capatosta di Gaetano Colella, I giganti secondo Roberto Latini, il remake del Titanic di Antonio Neiwiller, Ippolito Chiarello Psycho Killer teatralee Be Normal del Teatro Sotterraneo
“Il mare si beveva, ci si faceva il pane” ci racconta il documentario sonoro “per uno spettatore alla volta” di Babilonia Teatri, ideato da Valeria Raimondi ed Enrico Castellani in scena per tutta la durata del festival teatrale che si è svolto dal 24 al 27 settembre al TATÀ, per la terza edizione di una rassegna culturale allestita nel cuore del quartiere Tamburi di Taranto. La zona deve il suo nome al torrente omonimo in cui sorgeva un insediamento urbano, noto per l’aria benefica e la fitta vegetazione che vi prosperava appena un secolo fa: non è passato tanto tempo pertanto da quando è divenuto il quartiere simbolico delle sostanze letali dell’Ilva.
Sebbene questo percorso duri solo trenta minuti (circa) esso è in grado di far precipitare su chi ascolta una sterminata cascata di parole, immagini, suoni. L’ascolto si svolge nella Chiesa armena di Sant’Andrea, fruibile grazie a una continuità data da cittadini residenti volontari.
“Per volontà, per merito, per colpa di un privato cittadino” lo scandalo sulla contaminazione a Taranto dovuta alla diossina diviene di dominio pubblico, tanto da costringere la popolazione a una scelta dalla problematicità duplice, come due sono le città e due sono i mari di Taranto, unita da un ponte levatoio (simbolico?). La morte per malattia, i veleni dell’Ilva – inaugurata nel 1965 con la denominazione “IV Centro Siderurgico Italsider” – dunque da una parte costituirebbero un danno ambientale sproporzionato che ha resa necessaria la Legge “anti-diossina” del 2008; ma dall’altra l’industria si rivela una soluzione alla povertà e alla depressione finanziaria quindi un dispositivo generatore di benessere economico e lavorativo.
Gaetano Colella da interprete con Andrea Simonetti ha presentato la prima nazionale del suo coraggioso Capatosta, con la regia di Enrico Messina. Nello spettacolo Colella – corresponsabile della direzione artistica e dei progetti di formazione per il Crest (Collettivo di Ricerche Espressive e Sperimentazione Teatrale) – si rivela maestosa marionetta agente, memore dell’eredità attoriale eduardiana, maschera iterante di un “come fa un uomo a diventare una cosa?”. Una scena metallica accoglie il sacrificio di un Cristo umano che celebra in una doccia anticontaminazione il suo martirio operaio, allargando le braccia al suono assordante dei nomi delle innumerevoli vittime causate dall’inquinamento dell’industria di Taranto. Il testo di Colella nasce da una profonda riflessione autobiografica – la perdita del padre a causa dei danni provocati dal contagio ambientale – e trova rispondenza in una storia violenta che ripercorre i meccanismi quotidiani di sopravvivenza, raccolti attraverso le generose testimonianze di operai dell’Ilva “amanti uniti in un abbraccio letale”.
La morte e il conflitto generazionale tra padri e figli sembra essere una costante in tre degli spettacoli presentati. Teatro Sotterraneo mostra il cinico mondo del giovane artista contemporaneo e la scalata alla repressione dell’anziano, figura identificata come colpevole dell’odierno disagio finanziario in Be Normal!, teatro ma anche commedia grafica e interattiva.
Nasca Teatri di Terra con Psycho Killer, presenta come “scherzo teatrale” un bombardamento nevrotico e sensoriale, con Ippolito Chiarello – attore emblema di Barbonaggio Teatrale – nei panni di un fragile assassino innamorato, con un senso di colpa irrisolto nei confronti di una paternità mancata ed elevata al quadrato ovvero rappresentata da un nonno, ed esasperata all’ennesima potenza archetipica dal travestimento in un Babbo Natale ucciso per errore o forse no. L’osso duro di e con Roberto Corradino è invece un saggio sulla carcassa intellettuale di un Kafka-padre che propina attuali “endovene di tritato” e “supposte di carne”.
Al festival si è visto anche Titanic the end, rillestimento del lavoro ideato e diretto nel 1984 da Antonio Neiwiller, “in una visione di Salvatore Cantalupo”, intenso e onirico teatro di poesia. Neiwiller interpretò il personaggio del mago Cotrone nei Giganti della montagna diretto da Leo de Berardinis. “Ho paura”: questa primissima battuta, che nel testo originale conclude il testo, appare nello spettacolo maggiormente rappresentativo della rassegna, totalmente slegato da una comunanza tematica con gli altri, legata alla consapevolezza della crisi e della morte, ma indubbiamente non a una univocità poetica.
I giganti della montagna di Luigi Pirandello con l’adattamento di Roberto Latini, in scena con Federica Fracassi, è un attraversamento di sensi e narrazione più che un vero e proprio spettacolo teatrale: si potrebbe pertanto definire visione, nel senso più arcaico e religioso incarnato dall’esperienza mimetica del teatro. Un abbraccio sinestetico avvolge lo spettatore in questo “Atto I”, grazie al contributo tecnico di Gianluca Misiti alle musiche e ai suoni e di Max Mugnai alle luci, creando con la regia una trasposizione efficace di quella “magia” ultraterrena che pervade l’ultima e incompiuta opera del premio Nobel siciliano, che credeva nell’habitus attoriale, talora funesta sembianza di una dimensione parallela.
A corredo degli spettacoli si segnalano interessanti e produttivi incontri tra operatori dello spettacolo. Om particolare, suggestivo e ironico si è rivelato il reading del Poemetto teatrale: il teatro, i teatranti, gli spettatori, scritto e letto da Massimo Marino. Anche quest’anno Marino ha condotto un laboratorio di critica per spettatori, confrontandosi con un gruppo di donne adulte che hanno raccontato di come sia cambiata la loro percezione teatrale, grazie a questa esperienza di ricerca sugli spettacoli, attraverso il lavoro di recensione e analisi ovvero di studio. La riflessione di Oliviero Ponte di Pino a partire dalla presentazione del suo libro Comico & Politico – Beppe Grillo e la crisi della democrazia, ha mostrato uno scorcio di storia d’Italia, poco conosciuta e altrettanto raramente indagata.
Giulio Baffi, presidente dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro ha condotto interventi sulla tematica relativa a I linguaggi del teatro contemporaneo; ospitando anche gli interventi di esponenti di Rete Critica, quasi a suggellare una nuova apertura della critica rispetto ai nuovi linguaggi di diffusione informativa, messaggio che peraltro da tempo era stato rivelato in questa e altre sedi, dalla presenza di un gruppo di esponenti della giovane critica, impegnato in vari ambiti culturali, attraverso la consapevolezza civile di questo strano e biasimato mestiere della analisi teatrale. D’altro canto il critico Nicola Viesti ha sollevato una questione assai precipua oggi, ossia quale debba essere l’atteggiamento della critica nei confronti di operazioni performative come una decapitazione distribuita nei social network o in telegiornali, in uno stato di guerra, come quello attuale in cui viviamo. Questa provocazione è stata immediatamente accolta da Gerardo Guccini che ha sottolineato come il compito del teatro debba necessariamente essere quello di “seppellire le metafore”.
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