#BP2016 | Sicilia, isola lontana. Del pluralismo e delle pari opportunità

Pubblicato il 28/02/2016 / di / ateatro n. #BP2016 , 157

Mi pare che negli interventi precedenti sia emerso un dato di fatto molto importante dal quale è difficile prescindere per una riflessione sul DM, e più in generale sul settore: non c’è un solo Paese, ma vi sono più “Italie”, una diseguale frammentazione territoriale che impone una scelta di indirizzo politico forte e chiara. Ad esempio, la Sicilia non parte da qualche gradino sotto rispetto al resto del paese, ma da molte rampe sotto.
In fondo, che la Sicilia sia un’isola non è una novità, che sia lontana, forse un po’ meno. Teatralmente parlando, la Sicilia ha espresso, esprime, e continuerà ad esprimere una scena interessante, ricca, dalle diverse sfaccettature, capace di attraversare le molteplici specificità del teatro. Dunque, per nulla isola isolata. Eppure, per noi siciliani, rimane sempre un’isola lontana. Lontana dalle opportunità delle altre regioni, dove hanno preso il via processi di innovazione nel sistema teatrale. Lontana dalle sinergie e dalla operosità che, in altre latitudini, il sistema teatrale italiano, quello pubblico in particolare, è stato capace di creare.
Provo a ragionare sulle parole che il precedente ministro, Massimo Bray, ha usato nella sua “illustrazione delle linee programmatiche dell’azione del Ministro per I Beni e le Attività Culturali”, un documento presentato alle commissioni congiunte di camera e senato il 23 maggio 2013. Bray in modo diretto ed esplicito utilizza il termine sussidiarietà orizzontale e verticale, affermando la necessità di «un pieno e responsabile coordinamento con le politiche e con le funzioni svolte dagli enti locali» per la tutela e promozione delle attività culturali. Dunque, un principio di coinvolgimento del segmento privato e indipendente nell’azione di promozione, tutela e sviluppo delle attività culturali che viene, senza dubbio, rafforzato nel passaggio dove Bray afferma che «l’importanza, in alcuni casi, l’insostituibilità dei soggetti privati nell’attuazione delle politiche per la cultura deve essere ribadita e accompagnata da azioni concrete». In tal senso leggo – correggetemi se sbaglio – il superamento della legge Tognoli da una parte, e il tentativo – seppur delegato ad accordi di programma quadro con le Regioni – di sostenere progetti che coinvolgano quella parte del settore indipendente e privato che ha sperimentato nuove forme di produzione, programmazione e formazione del pubblico. Dunque, in termini di indirizzo, andare oltre le cosiddette “partecipate” della cultura e allo stesso tempo responsabilizzare il segmento privato con oneri ed onori, riconoscendone la piena funzione pubblica. A questo importante elemento di innovazione, però, non è seguito, in una buona parte del mezzogiorno e in Sicilia, un pieno coinvolgimento delle Regioni, attraverso un attento programma di coordinamento delle normative e delle politiche di indirizzo. Mi spiego, alcune Regioni hanno una normativa di settore che, nella maggior parte dei casi, nel rispetto delle funzioni e dei ruoli, cerca di mantenere un equilibrio di investimenti tra enti a partecipazione pubblica e altri soggetti che operano nel settore della produzione e programmazione di attività di spettacolo dal vivo. È sufficiente dare un rapido sguardo ai bilanci delle più importanti istituzioni pubbliche del settore prosa a livello nazionale, dal Piccolo di Milano all’ERT, per rendersi conto dell’equa distribuzione degli investimenti tra pubblico e privato, e soprattutto dell’attenta e coordinata azione degli enti di controllo; le grandi istituzioni pubbliche sono giustamente sostenute e allo stesso tempo fanno parte di un quadro generale che vede una complementarietà di azioni e soggetti. Certo, manca ancora una definizione chiara di ruoli e funzioni anche nel nuovo DM, il quale non definisce con precisione chi fa cosa e perché (ricordiamoci che è pur sempre un atto amministrativo e non può supplire la mancanza di indirizzo politico che dovrebbe essere propria di una legge quadro di settore, a mio avviso sempre più urgente). Ed ecco perché concordo pienamente con la relazione della commissione quando, ad esempio, sottolinea che la differenza di funzione tra Nazionale e Tric rischia di essere semplicemente di carattere quantitativo e non qualitativo. Così come, ad esempio, non è chiaro perché si deleghi esclusivamente ai Centri di produzione teatrale il compito di garantire lo spazio alla distribuzione, senza definirne specificità e senza, inoltre, non aumentare in modo più consistente i fondi per un articolo che prevede ben 29 organismi.
Apriamo una parentesi sulla ‘insularità’ della Sicilia: molte analisi hanno sottolineato la sperequazione tra Nord e Sud del paese, il primo ricco di soggetti e di riconoscimenti, di progetti di residenza, di strumenti di sostegno e promozione degli enti culturali (penso alle convenzioni del Comune di Milano, cosa impensabile per un comune siciliano…), il secondo profondamente frammentato con forti investimenti pubblici totalmente polarizzati dagli Stabili e dai teatri pubblici, che ricevono un flusso di risorse regionali nettamente superiore rispetto ai loro pari del Nord. La situazione siciliana è emblematica: una spesa complessiva di 48 milioni di euro nel 2015, per il 97% concentrata sulle partecipate pubbliche (due stabili pubblici, una Fondazione Lirico Sinfonica, un Ente Lirico regionale con un finanziamento di circa 14 milioni di euro, un altro Ente regionale che fa sia prosa che musica, un’orchestra sinfonica che costa circa 10 milioni di euro). In definitiva, un apparato pubblico molto pesante che toglie ossigeno e risorse al settore indipendente, polarizzando in modo accentuato l’attenzione della politica regionale. Non mancano le risorse, manca una visione (anche se la costituzione del FURS nella finanziaria 2015 sembra aprire un nuovo corso); manca ancora la capacità della politica di compensare i costi di apparati pesanti, figli di ‘vecchie logiche’, garantendo sostegno adeguato anche al settore privato (giovani compagnie, organismi riconosciuti dal Mibact, piccoli teatri) che in queste latitudini rappresenta un avamposto culturale di fondamentale importanza, spesso costituito da organismi agili, capaci di coniugare solidità gestionale con importanti interventi di formazione del pubblico, di crescita del territorio e rilevanti progettualità artistiche.
Una siffatta sperequazione presupporrebbe una forte rilevanza culturale degli organismi partecipati. Ma non sempre è così: al cambiamento di nomi e alle sacrosante aperture verso artisti di fama internazionale non è seguito un reale cambiamento di metodo nell’etica del progetto e del soggetto. Nonostante i cospicui “trasferimenti” pubblici, tali organismi lamentano sempre la mancanza di risorse adeguate e spesso, per giustificare il loro “peso”, adottano scellerate politiche di promozione con ingressi populistici, attraverso un vero e proprio doping da marketing, utile a vantare numeri e presenze, ma non certo ad aumentare le entrate da botteghino (in rapporto soprattutto ai finanziamenti ricevuti). Politiche diseducative che sviliscono la funzione delle attività culturali, causando una desertificazione dei territori attraverso pratiche di concorrenza ‘dopata’ che viziano il pubblico e danneggiano fortemente le compagnie e le piccole strutture. Ecco, perché, credo poco nelle grandi istituzioni culturali del Sud: le trovo ingessate, poco agili, legate a vecchie logiche. Sono davvero poche quelle che riescono a piegarsi alle esigenze territoriali e a essere di sostegno al settore. E penso che la Sicilia abbia bisogno di superare lo status quo dando fiducia a soggetti meno pesanti, ma forse più pensanti, che propongano un progetto di crescita territoriale diffuso, agile, costante e continuo, e che facciano da pungolo al fine di stimolare una sana politica teatrale. In tale direzione, ritengo fondamentale che lo Stato definisca nettamente una politica culturale che assegni a ciascun soggetto una specifica funzione all’interno di una visione strategica. È necessario un chiaro indirizzo capace di compensare le differenze territoriali, e di valorizzare il settore dello spettacolo dal vivo in termini di crescita e sviluppo, soprattutto per le nuove generazioni.
Luca Mazzone




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