Un Festival sull’orlo di una crisi di nervi?

Le parole di #Sanremo2018 e quelle della depressione

Pubblicato il 08/02/2018 / di / ateatro n. 164

La “vecchia che balla” la 83enne Paddy Jones con Lo Stato Sociale a Sanremo.
(ANSA/CLAUDIO ONORATI)

In una delle sue brillanti corrispondenze dalla Sala Stampa per Trovafestival e ateatro.it, il professor Luca Monti ha curato una pregevole e attenta analisi filologica dei testi poetici della 68° Edizione del Festival di Sanremo, dalla quale risulta che le parole più usate sono state

mai: 52 occorrenze (colpa soprattutto dei The Kolors che in Frida lo ripetono ben 27 volte
senza: 45 occorrenze
niente: 41 occorrenze (sostantivo più cantato)
amore, tempo, vita: 21 occorrenze
sbagliato: 20 occorrenze
mani: 18 occorrenze (più di “cuore)
mondo: 17 occorrenze
occhi: 16 occorrenze
capire, donna, storia, lontano: 12 occorrenze

Prosegue il professor Monti:

“Tra i Giovani, le parole più frequenti sono «senso» (9), «occhi» (9) e «sogno» (8).”

Il presupposto dell’analisi è che le parole che usiamo possano aiutarci a comprendere il nostro stato psico-emotivo. Partendo dallo stesso presupposto, uno studio pubblicato su “Clinical Psychological Science” ha analizzato il linguaggio dei depressi. Ha inserito in un computer e analizzato una serie di testi scritti da personalità che hanno vissuto periodi di depressione. Parole, lessico, grammatica e lunghezza delle frasi sono state analizzate e messe a confronto con quelle dei non depressi. Oltre al linguaggio parlato sono sono stati molto utili anche i diari e gli scritti personali di cantanti e poeti depressi, che in alcuni casi sono arrivati addirittura al suicidio in giovane età, come nel caso della poetessa Sylvia Plat e del frontman dei Nirvana Kurt Kobain.

Gli studiosi hanno distinto tra contenuto e stile, ma per ora ci fermiamo al lessico. I depressi utilizzano più spesso parole che richiamano emozioni negative, come “triste”, “miserabile”, “solo. Hanno inoltre notato un largo utilizzo di pronomi della prima persona singolare – io, me stesso, me – e uno scarsissimo uso di pronomi riferiti a seconda e terza persona – loro, lei, tu, lui. Segno di come i depressi siano autoriferiti, isolati, piegati su se stessi e poco propensi a relazionarsi con gli altri.
Ma a caratterizzare il lessico dei depressi è soprattutto l’abuso di “termini assoluti” (“absolutist terms”: per esempio, avverbi come “mai” e sostantivi come “niente”.
Insomma, nel 2018 termini come “mai”, “senza” e “niente” hanno scalzato dalla vetta la parola “amore”, che aveva trionfato sia nel 2016 (davanti a “giorno” e “vita”) sia nel 2017 (davanti a “occhi” e “notte”.
Forse è troppo poco per azzardare una diagnosi, ma il segnale è davvero inquietante. E varrebbe la pena di leggere con maggior attenzione i testi de una manifestazione così popolare, che ha rimodellato il paesaggio emotivo di 11 milioni di italiani, quelli che ieri hanno visto Sanremo in tv!

Bibliografia:

Luca Monti, Una vita in vacanza!, in “trovafestival”: leggi l’articolo.

Mohammed Al-Mosaiwi and Tom Johnstone, In an Absolute State: Elevated Use of Absolutist Words Is a Marker Specific to Anxiety, Depression, and Suicidal Ideation, in “Clinical Psychological Science”: leggi l’articolo.

Agnese Ananasso, Attenzione a queste parole: potresti essere depresso. Una nuova ricerca rivela che chi soffre di depressione usa termini come “sempre”, “niente”, assolutamente”, “io”, più frequentemente degli altri. Inoltre la loro vita è solo in bianco e nero, in “la Repubblica”: leggi l’articolo.




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