Contemporaneità del teatro ragazzi

A proposito della "Carta d'intenti del teatro per l'infanzia e la gioventù"

Pubblicato il 10/09/2001 / di / ateatro n. 018

Quello contemporaneo non è tutto il mio tempo
Essere contemporaneo: creare il proprio tempo e non rifletterlo.
(Marina Cvaetaeva)

Premessa: insoddisfazione e paradossi

Dobbiamo essere grati alle Briciole e a Marco Baliani per l’iniziativa di questo Cantiere dedicato al Teatro Ragazzi. Un ambito nel quale i borbottii e le chiacchiere sottovoce sono cresciuti negli ultimi anni senza farsi dibattito aperto, riflessione a voce alta. Situazione, questa, abbastanza diffusa nel teatro, ma che nell’area ragazzi sembra ormai appartenere alla sostanza più che all’aneddotica. Scontento e malumore sono di fatto incapsulati in zone ininfluenti e tali da non mettere in discussione il funzionamento della macchina generale e i suoi fondamenti. Così la mia prima provocazione – accogliendo l’invito di Marco Baliani alla franchezza del confronto – è l’esternazione di una certa diffidenza: non riesco a credere fino in fondo che il Teatro Ragazzi sia animato da una reale volontà di ripensamento, da una sostanziale esigenza di rifondazione.
La riflessione sul presente del Teatro Ragazzi è segnata (forse bloccata) da una serie di paradossi:
1) Il TR è attraversato da un’insoddisfazione diffusa e apparentemente generalizzata (si parla e si legge ricorrentemente di “degrado”, “mediocrità”, “stilemi”, “cliché”) eppure costituisce un settore che (almeno rispetto ad altri) gode di ottima salute, in quanto sistema economico, organizzativo e distributivo florido e funzionante.
2) Il TR fonda la sua storia e la sua vocazione sulla ricerca – e dalla ricerca deve costantemente ripartire, rivolgendosi allo spettatore più esigente: quello che deve essere conquistato al teatro sempre per la prima volta – eppure il suo sistema distributivo e di mercato consiste in una macchina che può anche prescindere dai contenuti e dal valore della ricerca.
3) Il TR si definisce per la specificità del destinatario, eppure riflette ed opera in assenza di esso. Il destinatario è sempre evocato, ma in assenza. (E anche un progetto tanto importante in questo senso, come “Il tempo dello spettatore”, stenta a veder inseriti i suoi contributi in maniera organica e programmatica nella riflessione del TR).
4) La storia del TR appartiene a quella della ricerca (e il teatro di ricerca è sicuramente debitore del TR in termini di acquisizioni di lunga durata: la drammaturgia della narrazione; il problema del destinatario come questione complessa: etica, artistica, comunicativa; la ricerca sugli oggetti e sulla figura; il confronto con lo spettatore come scuola per l’attore…), eppure sono assai rari gli scambi reali con gli operatori, i pubblici e la critica dell’altro teatro: di più, sembra che gli scambi siano persino temuti, basti pensare ai malumori che circolano attorno ai teatri che praticano il doppio circuito (ricerca e ragazzi).
5) E’ un teatro nato dall’aver ucciso i suoi padri naturali (in quanto proveniente dall’esperienza ideologizzata e antagonista dell’animazione, e quindi erede di un ripensamento radicale del concetto stesso di spettacolo inteso come organismo formalizzato e autosufficiente), eppure oggi stenta a costruire un rapporto reale con figli dai quali farsi tradire, superare, mettere in discussione.
6) Il TR si fonda sul rito di iniziazione al teatro, eppure tollera le condizioni meno favorevoli all’incontro (la macchina distributiva del TR accumula repliche su repliche privilegiando il dato quantitativo su quello qualitativo a scapito dell’attenzione alla congruità degli spazi, alle fasce di età dei fruitori, alle condizioni professionali degli attori – e le “vetrine” meriterebbero in questo senso un lungo discorso…).

Questo insieme di paradossi fornisce materia all’insoddisfazione attuale, che si esprime in particolare attraverso i seguenti argomenti:
1) prevalenza del mercato
2) rinuncia alla ricerca
3) smemoratezza rispetto alle origini (“i ragazzi si sono persi per strada”)
4) mancato superamento delle barriere di genere
5) mancato ricambio generazionale
6) disattenzione alle condizioni di fruizione

Ma, per quanto generalizzata, l’insoddisfazione è il risultato apparentemente univoco di una serie di prospettive assai eterogenee: che mescolano visioni squisitamente soggettive (generazionali, ideali, poetiche) con dati strutturali e di contesto.
Cosicché nella scontentezza attuale troviamo mescolati contenuti utili e atteggiamenti nostalgici, tensioni al cambiamento e vezzi passatisti, necessità di rifondazione e malcelati interessi alla conservazione.
La zona più sterile dell’insoddisfazione è sicuramente quella che coincide con la nostalgia. Anche se è una zona sincera e appassionata: legata alle biografie degli artisti e degli spettatori che sono stati protagonisti degli anni irripetibili dell’invenzione di un teatro precedentemente inesistente. La definirei nostalgia dell’adolescenza.

Storia: dall’invenzione antagonista alla lunga durata della cultura

L’adolescenza a teatro (come nelle arti in genere) è l’età della ricerca vera: esplorazione di possibilità inusitate a partire dalla critica e dall’irrequietudine verso il presente. Le generazioni teatrali e le invenzioni ad esse legate si configurano nei primi tempi della professione, o prima della professione stessa. Le fasi innovative durano un quinquennio e sono distanziate da ventenni all’interno dei quali le invenzioni costruiscono ed affermano i loro modi produttivi: è questa l’analisi che Claudio Meldolesi applica al teatro del XX secolo, e in particolare alla vicenda che dal metodo produttivo del grande attore porta alla regia critica e via via fino all’epoca dell’attore funzionale e quindi alla “terza avanguardia” degli anni Settanta. Ed è un modello che dà interessanti risultati anche in riferimento al Teatro Ragazzi.
Fra il 1971 e il 1977 nascono le compagnie storiche di Teatro Ragazzi: Teatro del Sole, Giocovita, Magopovero, Teatro del Buratto, Teatro delle Briciole, Ruotalibera… Sono anni di espansione e radicamento, in cui un nuovo teatro conquista il proprio territorio, a partire dalle esperienze anticipatrici del quinquennio precedente (che aveva avuto come protagonisti Carlo Formigoni, Giuliano Scabia, Franco Passatore, Remo Rostagno, Franco Sanfilippo, Mafra Gagliardi, Loredana Perissinotto…).
Gli anni Ottanta portano a compimento la parabola ventennale e segnano la fase della maturità, che tiene dietro alle aperture creative dell’adolescenza artistica. Si producono spettacoli più compiuti: agli anni dell’invenzione seguono quelli dei risultati e delle opere. (Marco Baliani firma Oz nel 1985 e Storie nel 1989; Carlo Formigoni firma per il Kismet I viaggi di Simbad nel 1984 e Cenere nel 1986; il Teatro Giocovita realizza Odissea nel 1983, Pescetopococcodrillo nel 1985, Il corpo sottile nel 1988; le Briciole creano Genesi nel 1980, Il richiamo della foresta e Miracoli nel 1982; nel 1983 nasce il Teatro del Carretto; nel 1986 nasce Vetrina Italia a Cascina; dello stesso anno è la prima edizione del Premio Stregagatto; dopo Pietre, del 1978, il Magopovero crea Moby Dick nel 1980, On the Road nel 1981, Galileo nel 1982, Il valzer del caso nel 1987 e Van Gogh nel 1988. [Mi si perdoni la selettività sicuramente poco sistematica dei dati, che vogliono solo essere indicativi di un percorso. Ma una cronologia completa sarebbe davvero utile al lavoro storico: qualcuno può indicarmene eventuali fonti, anche parziali, da collazionare?].
Nel corso degli anni Novanta avviene un cambiamento sostanziale, che corrisponde alla fisiologia della vicenda artistico-produttiva. Il Teatro Ragazzi è ormai un sistema strutturalmente definito. Il suo modo produttivo ha esaurito la fase inventiva, ma porta avanti la propria espansione in termini culturali: la cultura del teatro ragazzi si afferma diffusamente e costituisce un patrimonio riconosciuto all’interno dell’orizzonte più vasto della civiltà teatrale. Significativamente, appartengono agli anni Novanta episodi emblematici di sconfinamento e contaminazioni. Kohlhaas (1990) inaugura il decennio aprendo al teatro in generale i risultati della ricerca sulla narrazione; la Societas Raffaello Sanzio apre nel 1995 la Scuola sperimentale di teatro infantile; dalla collaborazione fra teatro danza e teatro ragazzi nasce Romanzo d’infanzia della compagnia Abbondanza Bertoni (1997); altri danzatori si cimentano col Teatro Ragazzi, insieme a compagnie della “ricerca”; sono sempre più frequenti gli spettacoli pensati per il doppio circuito adulti/ragazzi (si pensi alle produzioni di Quelli di Grock, del Teatro Kismet OperA – in particolare nel suo versante di attività dedicato all’handicap – del Teatro Due Mondi, della Ribalta, di Gigi Gherzi – con le fuoriuscite verso le tematiche della marginalità e gli spazi dei centri sociali…
Riassumendo: l’adolescenza eroica del TR, l’epoca dell’invenzione ribelle, che ha mescolato impulsi teatrali, politici, esistenziali è ormai distante decenni. E anche la vicenda artigiana che ha capitalizzato le scoperte, definendo le linee professionali e produttive di questo teatro ha compiuto il suo corso. Ha detto Marco Baliani, provocatoriamente, in apertura di questo Cantiere, che il TR è finito: dopo essere stato movimento, dopo essersi inventato come settore, ora è mercato, cui tutti possono accedere [non importa se animati o meno dal sacro fuoco]. E’ come dire che all’invenzione è seguita la vicenda produttiva, ed ora che anche questa si è esaurita permane la stabilità (o l’istituzionalizzazione) di un ambito che appartiene alla cultura del teatro, non più alle sue rivolte.

Domande: impatto e ricerca

Restano aperte due domande: perché gli spettacoli attuali appaiono di minor impatto?
Seconda domanda: E’ ancora possibile, per il Teatro Ragazzi, ormai appartenente a una cultura di mercato, essere teatro di ricerca?
Alla prima domanda risponderò con una citazione. Judith Malina osserva che molti degli “scandali” del Living Theatre sono entrati persino nel bagaglio di Broadway. Da un lato è una cosa buona: vuol dire che lentamente sono stati capiti. Che una certa ricerca espressiva da rivoluzione è diventata patrimonio del teatro (che se ne abbia o meno la consapevolezza). Ma dall’altro lato significa che non “forano” più: né il teatro, né la coscienza, né il comportamento. «Anche se diciamo “Rivoluzione adesso!” è più comprensibile di quanto non lo fosse nel 1968, ma non ha nessuna importanza: possiamo dirlo finché vogliamo, che tanto non otteniamo nulla. Che si dica rivoluzione o discoteca o rock and roll o reebok, non importa: tutto è raggelato sotto la sensazione di una perdita totale di speranza». Non è forse la stessa cosa per il Teatro Ragazzi? Oggi gli spettacoli che produce sono per certi aspetti anche più belli, più compiuti che in passato, presentano certamente uno standard professionale mediamente elevato, eppure non possiamo non provare nostalgia per l’adolescenza di questo teatro, per gli spettacoli che ci hanno colpito con la forza dell’invenzione. Oggi che la cultura professionale del TR è un dato di fatto, gli spettacoli appartengono all’orizzonte di attesa del pubblico, sono già presenti nella coscienza dello spettatore – più o meno specializzato – e godono perciò di maggiore comprensione, ma di minore capacità di penetrazione. Se non “raggelati” ci arrivano di certo più freddi, in seguito alla “perdita di speranza” circa la possibilità che insieme al teatro si potesse cambiare il mondo!
Ma questa è insoddisfazione positiva o nostalgia? Cito ancora Judith Malina, la quale afferma che i giovani oggi sono stanchi di sentirsi dire che tutto è già stato fatto, e peccato per loro che non c’erano nel ’68 o negli anni Settanta. E’ evidente che la ricerca deve continuare e i giovani devono farsene protagonisti, seppure tenendo conto che l’orizzonte di attesa è dato, così come il contesto produttivo e le sue acquisizioni culturali. E vengo così alla seconda domanda.
Fare ricerca per i giovani che si affacciano al TR – un teatro che esisteva già quando loro sono nati e che, se fosse un individuo, sarebbe forse almeno settuagenario – significherà lavorare nelle zone modificabili di un sistema dotato di linee di funzionamento specifiche e definite, non solo in termini produttivi, ma anche di mercato. Il nuovo, rassegniamoci, è giocoforza che nasca altrove… voltando le spalle ai padri e trasmigrando chissà dove… e altrove forse è già nato, o sta nascendo e nel giro di un quinquennio forse ce ne accorgeremo…
Pensiamoci: il teatro ragazzi appartiene attualmente alla cultura teatrale, non alla sua rivoluzione. Ci aspetteremmo che un giovane che si affaccia al teatro di prosa senta gli stessi impulsi riformatori che hanno animato i maestri della regia critica? Forse quella del teatro ragazzi non è tanto nostalgia dell’adolescenza quanto incapacità di pensarsi se non adolescenti: delizia di un teatro che continua ad abitare l’infanzia… ma anche croce. E su questa croce i giovani hanno precisamente posto l’accento (nella giornata di lavoro dell’8 giugno), insistendo in particolare sulle questioni legate al linguaggio, nella consapevolezza che una distanza si è irrimediabilmente consumata rispetto a quell’immaginario infantile che negli anni Settanta si cercava di immaginare. In questa prospettiva, ritengo, vanno compresi i temi da loro posti: ascolto, laboratorio, pedagogia, necessità di reimparare – parole che solo apparentemente sembrano riesumare antiche radici, in realtà esprimono necessità di rifondazione.

Concludendo: investimenti e intenti

Venendo alle proposte (o agli intenti). Il TR ha inventato il suo sistema, ossia il suo mercato, ed ora non può che rispondere a quelle specifiche leggi. In quanto macchina economica ed organizzativa gode di ottima salute ed è difficile metterla in discussione proponendo un ritorno ai tempi della povertà e della bellezza. Abituiamoci alla ricchezza, è stato detto nel secondo incontro del cantiere: e interveniamo su quanto c’è di correggibile (e di particolarmente intollerabile): ripensiamo le vetrine, le collocazioni degli spettacoli, le modalità dell’incontro col pubblico…
E per il resto investiamo sui giovani. Con progetti mirati, di cui i centri si facciano carico, creando le condizioni perché le loro esigenze di ripensamento trovino modo di esprimersi. Solo in questo modo, attraverso azioni concrete, la necessità di rifondazione espressa da tanta parte del TR sarà credibile. Occorre immaginare progetti di cui i giovani siano protagonisti fino in fondo, senza tutoraggi, persino con quella possibilità di sbagliare che Patrizio Dall’Argine ricorda nei suoi anni di formazione alle Briciole (ma senza nulla togliere all’importanza della “responsabilità della parola” e della scuola, o “skholé”, di cui ha detto Carlo Bruni). Il “teatro bambino” di cui parla Gigi Gherzi ha bisogno di un pensiero forse non bambino, ma che conservi la freschezza dello stato nascente. Il degrado che vediamo nel teatro ragazzi dei cinquantenni non è rinuncia, è sfasatura rispetto alla contemporaneità dell’infanzia. Su questo hanno dimostrato di interrogarsi i giovani. Qui poggia soprattutto la loro insoddisfazione. Parafrasando Marina Cvaetaeva, i versi suonerebbero così: “quello contemporaneo non è il teatro di cui siamo eredi: creare il proprio teatro e non abitarne vecchie case gloriose”.

24 giugno 2001

Cristina_Valenti

2001-09-10T00:00:00




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