Autoritratto dell’attore da giovane

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Pubblicato il 06/06/2002 / di / ateatro n. 036

Nell’editoriale di “ateatro 33” parlavamo di una nuova generazione d’attori e lanciavamo l’idea di un piccolo questionario. Le prime risposte sono arrivate da Michela Cescon (vedi “ateatro34”) e da Paolo Pierobon (vedi “ateatro35”). Ora arriva il turno di Alessandro Genovesi.

Alessandro Genovesi (che fa anche il fotografo) si autoritrae così.
 
::I:: Perché ho scelto il teatro

Ho diverse manie. Anche diverse fobie a dire il vero. Ma mentre penso che le seconde siano, oltre che poco interessanti, anche poco attinenti, parlerò solo delle prime. E non di tutte, ma di una in particolare.
In pratica ogni sera, meglio, ogni tardo pomeriggio, vado al supermercato sotto casa, che grazie a dio, ops, Dio, è abbastanza grande. Prendo il carrello, anzi il cestino, per essere precisi e compero le cose per la cena. Non faccio mai la spesa settimanale, perché ho una mania e la voglio conservare. Quella di andare ogni giorno all’Esselunga, appunto. A meno che non stia provando ci vado sempre verso le 18:00, che è l’orario di punta, il momento della giornata nel quale c’è più gente. Compero le mie quattro cose, che non sto ad elencare per non diventar pesante, e mi metto in fila. E lì son felice. Mi sento come tutti gli altri. Anzi mi sentivo, perché circa un mese fa, giorno più giorno meno, ho capito una nuova cosa, ed è stata illuminante. Ma ve la dirò poi, ora continuo con quello che stavo giusto sopra raccontando. Beh mi mettevo in fila, e stavo bene. Poi mi sono accorto che mentre io ero fresco di doccia, tutti gli altri erano oramai sporchi e stropicciati e quella era, probabilmente, l’ultima cosa che avrebbero fatto prima di tornare a casa, togliersi i vestiti, mangiare, guardare un po’ di tv e andare a letto (sto generalizzando e ne sono cosciente ma se non generalizzo un po’ non n’esco più), mentre per me la giornata, almeno quella lavorativa, doveva ancora incominciare. A essere sincero questa cosa non mi faceva stare benissimo, ma era una mania, e si sa le manie a volte possono pure essere masochistiche. E’ concesso che lo siano. Per farla breve, un giorno, anzi un tardo pomeriggio, mentre ero in fila, squilla il telefonino alla persona che stava davanti a me. Era un ragazzo, di circa 30 anni. Che decideva, parlando al telefono con la sua fidanzata, cosa fare quella sera. Essendo la fila lunga ed essendo mercoledì, scatta verso il vicino banco dei giornali, prende il “Corriere della Sera”, lo butta nel carrello, toglie il cellophane da “Vivimilano”, va alla pagina dei teatri e propone alla fidanzata di nome Gabriella di andare a vedere, al Teatro di Porta Romana, I due gemelli Veneziani di Carlo Goldoni. Io, che recitavo in quello spettacolo, ero chiaramente sconvolto, non tanto da quello cui stavo assistendo, quanto da come la normalità stesse entrando nella mia mania preferita. Dopo aver concluso la telefonata, e dopo due secondi di pausa (io lo osservavo chiaramente con immenso interesse), torna nelle corsie e ritorna dopo circa 1 minuto e mezzo con una camicia rosa, la mette nel carrello paga e se ne và. Lì per lì non pensai molto, ma il giorno dopo riflettei sul questo fatto:
in generale in tutti gli spettacoli, ma ne I due gemelli veneziani in particolare, io attraverso dei momenti di crisi e di sofferenza davvero molto pesanti. Questo perché, e ne sono cosciente, ho una tendenza a far di nulla un grande problema, ma questo è un problema mio e non voglio tediarvi con queste cose. Però, spero mi capiate, è brutto vedere che tu stai male per 1 mese (periodo medio delle prove di uno spettacolo), fai un uso spropositato di maalox, più tutto il resto che non vi elenco, poiché lo avrete capito non amo esser pesante, e scopri che il 90% delle persone che ti vengono a vedere scelgono su “Vivimilano” che cosa fare quella sera. Spero non mi giudichiate classista per ciò che sto dicendo. Anzi fatelo pure. Ho parlato di questo ad una persona che è per me molto importante, esprimendo tutto il malessere che questa cosa mi aveva provocato. Lei (la persona, dico) con tutta la semplicità con la quale è abituata ad affrontare i problemi mi ha detto: “Pensa al pescivendolo. Lui si sveglia la mattina alle 5 per andare a comperare il pesce, prepara il banco, alle 8 apre il negozio e per tutta la giornata parla solo del suo pesce a tutte le persone che lo vengono a comperare. Poi torna a casa. E, in tutto questo ha un problema in più rispetto a te…lui puzza di pesce”.
Bene, circa un mese fa ho scoperto di essere un privilegiato e che faccio, probabilmente, uno dei lavori più belli del mondo. Ho capito che la funzione mia nella società è quella di sollazzatore. Ed è bello.
La gente va a teatro per sollazzarsi. Riflettere, magari. Ridere se è possibile. Etc. Etc.
Per anni e anni ho lavorato cercando di dar peso a ciò che facevo. Oggi penso che il segreto stia nella leggerezza. Mi capita di far spettacoli dove c’è veramente poco su cui riflettere, ma, seppur ho 29 anni un po’ di cose mi sono successe (e non ve le dico perché non amo esser pesante, eppoi, perché non so se abbia senso farlo) e queste cose me le porto nelle facce che faccio, in come mi muovo e in quello che dico. In tutti i personaggi che interpreto per me è importante che vengano fuori. Mi piace che la gente che viene a vedere gli spettacoli dove recito dica: “C’era qualcosa in quello lì…”. Non mi interessa che spettacoli siano, ma è importante che ci sia tanta gente. Tanta. E’ la mia rivoluzione. Silenziosa e con tanto compromesso. Ma è la mia rivoluzione.
La persona per me molto importante che citavo sopra è mia madre.
Spero di esser stato chiaro.

::II:: Il mio percorso di formazione

E’ stato mentre frequentavo “lo studio laboratorio dell’attore di Raul Manso” che ho conosciuto Naira Gonzalez (Odin-Teatro de los Andes ). Lei mi disse che stava cercando persone per formare un gruppo di lavoro a Venezia. A quel tempo, come oggi del resto, i soldi non è che girassero molto nelle mie tasche o, meglio, erano solo di passaggio. Non potendomi quindi permettere di stare a Venezia per un periodo lungo, facevo avanti e indietro da Milano a periodi alterni. Tornato da Venezia (avevo allora 23 anni ) venni chiamato per fare uno spettacolo dalla compagnia Egumteatro, che allora aveva sede a Cusano Milanino, in un enorme capannone. Feci quello spettacolo, che ebbe un insperato successo e ci fece vincere anche un premio UBU come miglior gruppo giovane, eppoi dovetti decidere se continuare a lavorare con Egum, oppure se prendermi tre anni di pausa e frequentare una scuola “ufficiale”. Per entrare in un’accademia avevo ancora due anni di tempo, decisi quindi di continuare a lavorare.
Al capannone ho imparato davvero tanto. Si lavorava dalle 10 alle 15 ore al giorno a una temperatura che variava dai 3 gradi invernali ai 30 estivi. Ricordo che per l’inverno mi comprai una pelliccia ecologica che poi ho regalato al mio amico Paolo Pierobon. Il lavoro con Egum e con Virginio Liberti e Annalisa Bianco in particolare, penso sia stato uno dei passi fondamentali della mia formazione. Oltre ad essere messo costantemente alla prova come attore, mi hanno insegnato a stare al mio posto, a vivere e superare le crisi e ad avere del teatro una visione totale, non solo specificatamente attorale. Nel frattempo seguivo corsi di canto, musica, voce e fisarmonica. La dizione l’ho imparata insegnandola in una cialtronesca agenzia di modelle di Gallarate. Dopo qualche anno sentivo l’esigenza, anche economica, di uscire dal gruppo. Ho lavorato con diversi registi e attori e da tutti ho imparato e sto imparando cose. Alla fine una scuola “ufficiale” non l’ho mai fatta e devo dire che per un po’ di tempo è stato per me un cruccio. Oggi lo è molto meno.

::III:: Gli incontri professionali che mi hanno segnato

Di Naira Gonzalez, Virginio e Annalisa già ho parlato prima. Sicuramente Cesar Brie è stato per me un incontro molto importante.
Nel periodo in cui sono stato al Théâtre du Radeau, il lavoro, il parlare bevendo vino con François Tanguy è un’altra delle cose che mi porto dentro.
Da circa tre anni lavoro col Teatro Dell’ Elfo e qui sto imparando davvero tante cose. Ferdinando Bruni e Elio De Capitani mi danno, giorno dopo giorno, prove sempre più difficili da superare.
All’Elfo sto meglio che a casa mia e, anche se non mi è richiesto, la sento come una causa mia, una cosa in cui credere, un progetto da portare avanti. A volte, durante le prove o semplicemente alle cene dopo gli spettacoli, mi capita di osservarli (parlo dei due citati e di tutti gli elfi storici che ancora sono lì). A volte penso al fatto che stanno insieme da trent’anni, che hanno passato, probabilmente tutte le fasi che un rapporto di lavoro, di amore, d’amicizia, prevede. Io osservo come oggi, dopo trent’anni sono, si comportano, scherzano e si arrabbiano tra loro. Beh, questo è un grande insegnamento. Il giorno in cui nacque l’Elfo, nacqui pure io. Per questo vedere come ancora oggi sono lì a portare avanti la causa, mi dà forza e mi fa capire.
Come ho già detto ho 29 anni e le persone con cui lavoro incominciano ad avere fiducia in quello che faccio. Forse fa parte della normalità, a mano a mano che diventi grande ti viene concesso sempre di più.

::IV:: Il mio ruolo all’interno del teatro italiano

Ciò che faccio, o cerco di fare, è far sì che in tutto quello che dico negli spettacoli in cui recito, ci siano elementi riconoscibili alla maggior parte delle persone.
Questa è la seconda parte della mia rivoluzione.
Chiedo scusa per la sintesi.

::V:: Gli esempi che ho seguito

I miei due principali punti di riferimento sono Antonio De Curtis e Peppino de Filippo.
Ne citerò, altresì, alcuni, come dire… un po’ più contemporanei.
Carlo Cecchi è la persona con la quale desidero maggiormente lavorare ed è, a mio parere, una delle poche luci ancora accese nel teatro italiano.
L’approccio ludico e sempre meravigliato col quale Elio De Capitani mette in scena gli spettacoli, è una cosa che auguro a tutti di vedere.
Valentina Cortese che dice: “Hanno venduto il giardino dei ciliegi”.
L’arroganza di Carmelo Bene.
Gli attori di Lev Dodin.
Le fotografie di Nadar.
La musica di Chopin.

::VI:: Il rapporto con la nuova drammaturgia made in Italy

Nonostante sia Giovanni Testori uno degli autori italiani che preferisco, l’unico reale rapporto lavorativo che ho avuto è stato quello con Roberto Traverso.

Alessandro_Genovesi




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