Racine per sport

La Fedra del Wooster Group

Pubblicato il 24/06/2002 / di / ateatro n. 037

To You, The Birdie!
(Fedra, adattamento di Paul Schmidt)
diretto da Elizabeth LeCompte
produzione: The Wooster Group
Londra, Riverside Studios
 
Il Wooster Group è un po’ come una salsa “Wooster” (anche se il nome viene da una via di Manhattan): un gruppo di artisti provenienti da formazioni differenti, che collaborano ormai dagli inizi degli anni ’70 allo sviluppo di produzioni teatrali e non, sempre alla ricerca di nuovi mezzi mediatici. Suoni, video e installazioni sperimentali lo hanno reso un gruppo cult dell’avanguardia.
Il gruppo ha sede al St. Ann’s Warehouse, uno spazio ricavato da un vecchio mulino in un sobborgo di Brooklyn, 38 Water Street.
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Ce l’’ho fatta! All’’ultimo momento ho trovato un unico biglietto per assistere al nuovo spettacolo del Wooster Group. E’ stato presentato in occasione del London International Festival of Theatre, presso i Riverside Studios che come sempre propongono un programma di spettacoli teatrali e cinematografici innovativi e con nomi di eccezione.
Non conoscevo il Wooster Group, ma nei giorni passati era l’’argomento principale di riviste, giornali e passaparola. I commenti generali, piuttosto contraddittori e talvolta arrabbiati (!), mi hanno convinta del fatto che si dovesse trattare di qualcosa di molto interessante e, se non altro, bizzarro.
Incamminandomi lungo le rive ovest del Tamigi (Hammersmith), ho incontrato alcuni personaggi che, ho intuito, si stavano dirigendo verso la mia stessa meta. Erano l’’immagine un po’’ arrugginita degli anni ’70, con forme un po’’ rilasciate ma ancora coperte di colori brillanti, barbe e capelli ribelli che hanno scatenato la mia immaginazione rivestendoli da capo a piedi di pantaloni a zampe di elefante e magliettine leggiadre. Silenziosa, percepivo il loro entusiasmo di rivedere qualcosa che in passato era stata una “colonna visiva” della loro esistenza, come Lou Reed e tanti altri ne erano stati la colonna sonora.
Quando finalmente conquisto il mio scomodissimo posto, ecco la scena: trasparente, ma più la guardo e più gli elementi che la compongono si mostrano.
Intravedo il corridoio di un ospedale, asettico, con colori non colori, acciai e plexiglass. A sinistra del palco una sedia a rotelle per incontinenti messa di traverso e parzialmente sospesa. Un punto rosso, rosso acceso, molto piccolo rispetto all’’insieme eppure uno spot che richiama un fiore rosso, rosso pallido dalla parte opposta; due video sospesi, uno davanti e uno dietro più grande; al di là del palco ci sono due panchine, il tutto delineato da una cornice sospesa e mobile su rotaie, il ciak si gira, che a ciascuno dei cinque atti viene spostata a suon di vero e proprio fracasso amplificato. Ma è anche una piscina, ed è allora che noto le maniglie di ferro come quelle per scendere in acqua senza tuffarsi, a U rovesciata, che si appoggiano qua e là ai bordi della scena (o sponda della piscina) che i suoni, più tardi, riempiranno del movimento dell’acqua e delle ire di Nettuno. Ora invece la scena si è trasformata in un campo di badminton, da cui il titolo, che è la traduzione dal francese dell’’espressione “à vous, le volant” (o “Tocca a te” dove lo scambio di battute crea il gioco delle relazioni interpersonali). Spazio immaginario ma assolutamente percepibile grazie alla precisione dei movimenti dei due giocatori, Ippolito (Ari Fliakos) e Teramene (Scott Shepherd) che nel frattempo sono entrati in campo e stanno realmente giocando la loro partita e ne hanno definito le traiettorie, la rete e gli angoli. I punti (“Fault!” con voce meccanica) sono giudicati dall’arbitro, Venere (Fiona Leaning), deus ex-machina della situazione. Uomini il cui potere è al servizio degli Dei.
Ma che nesso c’’è tra Fedra (Kate Valk) e una partita di badminton? Il match ha impostato l’atmosfera di tutto lo spettacolo stabilendo fin dall’’inizio le relazioni tra i personaggi e il loro status. Il gagliardo Ippolito con Teramene, suo compagno di vita e di giochi, e poi beffardo commentatore; Fedra, allo stremo delle forze che a malapena riesce a reggere la racchetta in mano e che sembra dover svenire da un momento all’’altro e Enone che l’’aspetta, la sorregge e la guida.
Dipendente della sua ancella (Sheena See, vincitrice di un oscar con Fargo), Fedra come ogni regina che si rispetti non alza un dito, ha bisogno di lei per scegliere e mettersi le scarpe, rosse, nere, cambiare il guardaroba e svolgere le sue funzioni personali. E’ in queste occasioni talvolta umilianti (la nostra Fedra è qui rappresentata come incontinente) che a viva voce impone la sua autorità con regale antipatia. Ma in realtà spicca la sua dipendenza dall’’ancella Enone. Fedra è debole e facilmente colta da crisi di isteria paralizzante dove perde il suo focus: solo grazie ai suggerimenti di Enone riesce a ritrovare una direzione e “funzionare”, come un semi-robot.
Questa visione robotica viene rafforzata dall’’introduzione, in diverse occasioni, di un ricco uso di video dove i corpi sono divisi tra immagine sullo schermo e realtà, volutamente scoordinate.
Disordine tecnologico, in realtà regolato con precisa maestria, che divide la realtà dalla finzione, dettagli del passato accostati a particolari futuristici, come nella scena in cui nel video si proiettano gambe e piedi che si muovono meccanicamente nell’’azione di mettere e togliere diversi paia di scarpe, e Fedra che da dietro esprime e traduce l’’insoddisfazione e il senso di vuoto.
C’’è anche un video sospeso che fa da sfondo alla scena dove per tutta la durata dello spettacolo si guarda un film muto di una giovane con camiciola verde pisello, labbra rosse e capigliatura corvina, che per tutta la durata dello spettacolo commenta questa partita delle relazioni. Sembra la vetrina di un acquario pieno di pesciolini colorati.
Il tutto è accompagnato da suoni ridicoli, buffi. Ogni battuta durante la partita di badminton corrisponde ai rumori di un cartone animato, il rumore dell’acqua, i cocci rotti, gli spostamenti in scena dei video con i rumori delle rotaie a tutto volume, gran fracasso, ma ogni suono perfettamente sincronizzato. Fedra, eccetto in rari casi, non parla ma i suoi pensieri sono doppiati dalla comica voce di Teramene.
Il testo rivisitato in chiave ironica e l’’interpretazione degli attori hanno trasformato Racine in un autore di soap-opera tecnologiche. (Racine si starà probabilmente ribaltando nella tomba per il paragone. Pare che a un certo punto della sua carriera, Racine abbia deciso di cambiare il corso della sua vita dopo che la sua Fedra venne riscritta in forma di sonetto).
Lo stile assurdo ma esplicito dei dialoghi del tipo “I vestiti nuovi mi fanno sempre sentire meglio, ma questa volta non bastano, non funziona…”, o “Come posso governare un paese, quando non riesco neanche a controllare me stessa…”, o “m’ama / non m’ama” mentre Fedra stacca pezzettini di volano… o quando Ippolito e il suo compagno, che nelle movenze si mettono in competizione con la plasticità delle statue greche, dimostrano di essere addirittura pensanti e capaci di porsi profondi quesiti sull’essenza dell’esistenza umana del tipo: “Supponiamo che tua madre non avesse superato gli scrupoli della sua verginità… dove saresti ora?” (Teramene a Ippolito, durante la partita) o quando Teseo (Allan Defoe) torna dal suo lungo viaggio e riesce a conferire al suo personaggio l’essenza dell’antico guerriero, la stazza mitica del gigante, mostrando giocando allungando gonfiando la cassa toracica: osservavo a bocca aperta questi virtuosismi corporei. Muovendosi come un Dio grande, più grande di tutti noi, lento incedeva sulla scena, e assumendo posizioni statuarie, quasi aspettando che venisse scattata una bella foto ricordo, asseriva: “Look at this!” (Guarda qua che cosa sono capace di fare, IO!). Teseo il vero macho per cui valeva davvero la pena aspettare per tutti questi anni.
Schmidt mi sembra che ritragga questi personaggi eroici nella loro semplicità e debolezza, ego e stupidità, laddove comunque non possono decidere nulla perché tanto saranno sempre soggetti a un potere trascendente. Ma se il testo ha comicamente alleggerito i contenuti della tragedia, i movimenti influenzati dallo stile di Graham o Merce Cunningham (“Ballet de Lorraine” al Royal Festival Hall a ottobre), restano teatralmente molto veri senza mai diventare melodrammatici. Spinti all’estremo dei loro opposti, mostrano lo strazio interiore, i tumulti e le angosce vissute. Ogni palpitazione filtra lentamente arrivando in superficie, in particolare attraverso il corpo di Fedra che ne diventa canale conduttore. Mi è parso che si contrapponessero due ritmi diversi, quello verbale della commedia e il ritmo movente della tragedia.
È proprio il flusso dei movimenti e il silenzio dell’’ultimo atto che restituiranno a Fedra la sua dignità tragica.
Guardando questo spettacolo mi sono ricollegata a un articolo di ”ateatro n. 5” dove si commentavano le produzioni di Lepage “(…) a formare un soffitto riflettente restituisce percettivamente agli spettatori l’’impressione di un corpo duplicato sulla scena avente movimenti uguali ma rovesciati dell’’attore stesso steso in terra e impegnato in una danza quasi in assenza di gravità”. Mi sembra che il Wooster Group manchi della poesia che questo commento ispira, ma sicuramente c’è una forte similitudine nell’uso della tecnologia.
Non essendo un’’interpretazione che rientra nei canoni standard del teatro classico e spiazzando il pubblico più tradizionale, lo spettacolo è stato criticato. Personalmente, e in accordi con molti altri, ho trovato questa performance spettacolare, ricca di inventiva, originale e fresca, nonostante l’’argomento tragico. Un invito a guardare le situazioni che viviamo anche da fuori, ogni tanto.
Non emerge necessariamente il leader, l’attore trainante, ma ci si trova a guardare un vero lavoro di insieme. Si guarda per prima cosa, si ascolta contemporaneamente, si razionalizza un secondo dopo. Ecco che questo dà la possibilità di godersi le situazioni che per un attimo si arrestano e si imprimono nella memoria.

Veronica_Picciafuoco




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