Sport e teatro

In libreria l'enciclopedia dei record

Pubblicato il 10/12/2008 / di / ateatro n. 119

E’ in libreria da pochi giorni la nuovissima Garzantina dello Sport a cura di Claudio Ferretti e Augusto Frasca (Garzanti Libri, 45,00 €): in 1680 pagine, 6100 lemmi e 64 tavole fuori testo, questa nuova Garzatina presenta:

Tutte le discipline dall’’atletica al wrestling
I campioni, le sfide, le imprese
Atleti, società, squadre, allenatori
Manifestazioni e campionati
Federazioni nazionali e internazionali
Olimpiadi: da Atene 1896 a Pechino 2008
Scienza, tecnica, regole, impianti
Nell’appendice: statistiche, classifiche, record e albi d’oro.

In anteprima dalla Garzantina dello Sport, la scheda dedicata al rapporto con il teatro.

Il teatro e lo sport, lo spirito tragico e quello olimpico, sono due tra le numerose (e preziose) eredità che ci arrivano dall’antica Grecia. Affondano entrambe le radici nel rito, ed entrambe hanno da sempre una funzione civile, rivolte come sono alla città, e addirittura all’insieme delle città greche.
Può essere curioso allora esplorare affinità e differenze tra queste due pratiche per molti versi più vicine di quanto non si pensi.
Tanto per cominciare, teatro e sport vengono praticati in tempi e luoghi particolari, in vario modo differenziati dalla normale vita quotidiana: lo spazio-tempo della finzione e quello del gioco si contrappongono allo spazio-tempo della realtà “feriale”. Vengono inseriti in un tempo “festivo” che ancora mantiene la memoria del rito, restando legato a ritmi stagionali (le scadenze di Campionati e Coppe, la stagione teatrale e quella dei festival) e cicli pluriennali (le Biennali del teatro, il quadriennio olimpico). La durata dell’evento teatrale e sportivo è inoltre separato dalla quotidianità grazie a precisi segnali d’inizio e di fine: nel teatro moderno, per esempio, può essere delimitata dall’aprirsi e chiudersi del sipario o più semplicemente dall’abbassarsi e riaccendersi delle luci in sala; la durata della competizione sportiva può essere scandita all’inizio dal colpo di pistola nell’atletica o dall’apertura del cancelletto nello sci, e dal superamento dalla linea del traguardo o dal filo di lana (un tempo, ora è stato sostituito dal fotofinish), oppure dal fischio d’inizio e di fine gara dell’arbitro.
Anche lo spazio – quello della gara e quello della rappresentazione – tende a essere delimitato, anche se i confini possono essere più o meno fluidi a seconda delle circostanze. Inoltre sia lo spettacolo dal vivo sia lo sport, anche se possono essere praticati senza spettatori, hanno poi come ingrediente essenziale la compresenza del pubblico nel “qui e ora” in cui si svolge l’evento. E’ vero che le nuove tecnologie – cinema, radio, tv, internet eccetera – ci permettono di seguire eventi teatrali e spettacolari “mediati”: la fruizione non avviene cioè dal vivo, ma attraverso un filtro tecnologico, in differita o in diretta; tuttavia la fruizione live continua a mantenere un sapore più autentico, una diversa energia, e pare essenziale alla riuscita della manifestazione anche quando viene fruita attraverso un medium tecnologico: il pubblico è parte integrante dell’evento, una partita di calcio in uno stadio vuoto è assai triste, come si è visto in recenti casi di provvedimenti disciplinari contro tifoserie eccessivamente “calde”. Fin dall’antichità questa compresenza di attori e spettatori ha portato alla necessità di progettare e edificare spazi appositi, che potessero contenere entrambi nelle migliori condizioni. Gli stadi e i teatri sono da sempre parte integrante del tessuto e del paesaggio delle nostre città.
Un ulteriore aspetto che avvicina la scena e lo sport è l’asimmetria tra chi agisce e chi assiste: da un lato gli attori e gli atleti, dall’altro gli spettatori: i primi giungono all’evento dopo un’attenta e lunga preparazione, con una progettualità meditata ed estenuanti esercitazioni (le prove per gli uni, gli allenamenti per gli altri). Ormai il training di molti attori ricorda per moltissimi aspetti l’allenamento degli atleti, non solo per quanto riguarda la preparazione fisica, ma anche nell’adozione di varie tecniche di rilassamento e concentrazione. Da questo punto di vista l’improvvisazione – la gag del grande attore come il colpo imprevedibile del fuoriclasse – non è mai totale, ma scatta sempre all’interno di schemi predisposti in precedenza, che vengono attivati quando se ne presenta l’occasione.
Proprio in questo – l’asimmetria della preparazione – sta la grande differenza tra lo sport e il teatro. L’esito finale di una rappresentazione è in larghissima misura preordinato: salvo nelle forme più estreme di happening, gli attori (e il drammaturgo e il regista) sanno sempre quello che sta per succedere sul palcoscenico e conoscono lo sviluppo dell’evento spettacolare e lo scioglimento della trama. In un evento sportivo – anche se ci sono i favoriti, come sanno benissimo gli allibratori – l’esito è sempre imprevedibile; anzi, nello sport il peccato peggiore, imperdonabile, consiste proprio nel “combinare” il risultato di una competizione: la lotta per la vittoria dev’essere “vera”, non si ammettono combine, biscotti e neppure il doping. Se l’appassionato di teatro può apprezzare l’ennesima messinscena di Edipo Re o di Amleto, anche se conosce già l’esito della vicenda, e apprezzare le varianti della regia e le differenze dell’interpretazione, per qualunque tifoso una gara di cui si conosce già l’esito perde invece quasi tutto il suo fascino. Nello sport deve sempre esistere un margine d’incertezza e d’imprevedibilità: spesso la squadra più debole ha ribaltato il pronostico vincendo la partita perché, si dice, “la palla è rotonda”.
Anche lo stesso spettacolo teatrale è diverso ogni sera, perché cambiano il pubblico, lo stato d’animo degli attori eccetera: tuttavia il margine d’oscillazione è molto ridotto. E’ vero che, come qualunque altro evento, può avere esiti assolutamente imprevisti, che però sono estranei alla logica dello spettacolo: per esempio, nel classico caso dello spettatore “ingenuo” della sceneggiata napoletana che estrae la pistola e uccide “‘o malamente”, il cattivo, perché non è in grado di distinguere la finzione dalla realtà (inutile dire che drammaturghi e attori giocano da sempre sul confine tra realtà e finzione, e dunque sul meccanismo del teatro nel teatro). Alcuni generi spettacolari amano tuttavia giocare con il rischio e dunque con la possibilità dell’errore e addirittura del disastro. Il circo ci affascina anche perché avvertiamo sempre la possibilità che il giocoliere perda il controllo di una delle otto palline che fa vorticare, o che l’acrobata cada dal filo teso a dieci metri da terra…
Vista dunque la vicinanza tra sport e spettacolo, non sorprende scoprire intersezioni tra l’uno e l’altro: così esistono sport più “spettacolari” e forme di spettacolo più “sportive”. E’ sempre possibile osservare qualunque evento sportivo come uno spettacolo, considerando parte dello show anche il pubblico, con i cori e gli inni, la ola, ma anche le esibizioni delle cheerleaders; da sempre le premiazioni obbediscono a precisi rituali: la consegna della medaglia, l’inno e la bandiera, l’ostensione della coppa e il giro d’onore). Le cerimonie inaugurali e conclusive delle grandi manifestazioni sportive sono diventate un vero e proprio genere spettacolare, che tende sempre più al kolossal. Ancora: il gesto sportivo, al di là del risultato numerico, ha spesso una valenza estetica, come dimostrano le “punizioni capolavoro” di Maradona o di Baggio, con le perfette parabole impresse al pallone.
Tuttavia esistono discipline che, sempre prevedendo il superamento di difficoltà tecniche valutate con precisi punteggi, danno grande importanza anche alla qualità estetica del gesto atletico: armonia, coordinamento, ritmo, sincronismo… Basti pensare alla ginnastica artistica e ritmica, ai tuffi, al nuoto sincronizzato, al pattinaggio artistico, e all’importanza che in alcune di queste discipline hanno la scelta delle musiche e dei costumi.
La tendenza alla spettacolarizzazione dell’evento sportivo (che coinvolge anche il pubblico, quasi incitato a diventare attore) è anche determinata dall’invadenza delle telecamere e dei maxischermi, del moltiplicarsi dei punti di vista, dei ripetuti ralenti, dell’attenzione per il dettaglio e dell’insistenza sull’azione individuale (la prodezza, il virtuosismo, ma anche l’errore e la scorrettezza magari ignorata dall’arbitro). Questo filtro tecnologico cambia certamente la valutazione dell’evento sportivo da parte dello spettatore (curiosamente, la trasformazione dello sport in spettacolo interpretato da attori a beneficio delle telecamere era stata profetizzata da Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares nelle Cronache di Bustos Domecq nel 1967: il wrestling conferma che la profezia non era azzardata).
In parallelo la scena ha cercato, soprattutto negli ultimi anni, di contaminarsi con lo sport, con i suoi eroi, con le sue emozioni, con la sua epopea – e anche con la sua retorica. Sono finite al centro di spettacoli memorabili partite di calcio: Italia-Germania 4 a 3 di Umberto Marino segue la nottata di un gruppo di amici che guarda in tv il match del Mondiale del ‘70; Italia-Brasile 3-2 (2002), monologo di Davide Enia, racconta in forma di cunto popolare l’incontro dell’82. Hanno trovato eco sulla scena i rigori sbagliati da Evaristo Beccalossi, che nello sketch del tifoso interista Paolo Rossi diventano la metafora di un intero atteggiamento di fronte alla vita. Nella sua Argentina, Maradona è diventato protagonista di un musical. Giuseppe Manfridi ha esplorato il mondo del calcio in testi come Ultrà (1985), la tragedia in versi Teppisti! (1985), La partitella (1995) e La riserva (2002), mentre il mondo del football giovanile è al centro di Incantati di Marco Martinelli. Ma non c’è solo il calcio. La maratona di New York (1993) di Edoardo Erba vede in scena due amici che si allenano per la corsa più celebre. Top of the World. K2 (1982) di Patrick Meyers ha per protagonisti due scalatori vicino alla vetta himalayana: la scenografia ricostruiva una parete di ghiaccio. I danzatori e coreografi francesi Antoine Le Menstrel e Jerome Aussibal lavorano sulla verticalità riprendendo tecniche e attrezzature da arrampicata per spettacoli e performance. Per il musical Il grande campione (2000), Massimo Ranieri si è allenato con Patrizio Oliva, medaglia d’Oro alle Olimpiadi di Mosca, per impersonale Marcel Cerdan, il pugile amato da Edith Piaf.
Lo sport può servire anche da filo rosso per rievocare vicende storiche di grande respiro. In Aprile 74 e 75 (1995 e 2002) Marco Paolini rivive gli anni Settanta seguendo il campionato di una squadra di rugby di Treviso. Il francese Théâtre de la Mezzanine con Shooting star (2001) ripercorre l’intero Novecento attraverso le competizioni ciclistiche e le gare di ballo, trasformando la scena in un velodromo.
Molti spettacoli hanno ripreso e utilizzato gesti dello sport; certa danza contemporanea ha affinato tecniche d’allenamento e gestualità ispirandosi alle arti marziali orientali, in particolare il tai chi; la stessa capoeira brasiliana è insieme arte marziale e danza. Il canadese Cirque du Soleil ha scritturato come interpreti dei suoi spettacoli di nouveau cirque, applauditi in tutto il mondo, numerosi atleti olimpici. La campionessa di ginnastica ritmica Giulia Staccioli ha fondato la compagnia Kataklò Athletic Danse Theatre, coinvolgendo campioni come il pallavolista Andrea Zorzi.
In altri casi, il teatro ha utilizzato lo sport come metafora nella stesura di un testo o nell’impostazione della regia. Bertolt Brecht, appassionato di pugilato e amico del peso massimo Paul Samson-Körner, scandisce Nella giungla delle città (1923) come un incontro di boxe. Sul versante registico, ecco l’Otello ambientato da Danilo Nigrelli su un tavolo da biliardo, mentre nell’adattamento di Paul Schmidt per il Wooster Group, la Fedra di Racine diventa una partita di badminton in To You, The Birdie! (2001). Ma su questo versante l’operazione più ambiziosa resta probabilmente quella di Klaus Michael Grüber che ha allestito Winterreise (1977) dall’Hyperion di Hölderlin all’interno dell’Olympia Stadion (che fu teatro delle Olimpiadi del 1936 alla presenza di Adolf Hitler), obbligando il protagonista Bruno Ganz a una serie di exploit sportivi sulla pista d’atletica.
Infine, proprio all’incrocio tra spettacolo e sport si pongono i match di improvvisazione teatrale, dove due squadre di attori si sfidano su improvvisazioni a tema; le loro esibizioni vengono valutate da una giuria selezionata in genere tra il pubblico. A inventare le regole (che adattano in parte quelle dell’hockey) furono nel 1977 due attori-registi canadesi, Robert Gravel e Yvon Leduc; da allora i match di improvvisazione teatrale si sono diffusi in vari paesi (compresa l’Italia, dove è attiva una Lega di Improvvisazione Teatrale), dove vengono organizzati incontri, tornei oltre che veri e propri campionati.
In qualche modo affini sono i poetry slam nati a Chicago negli anni Ottanta del Novecento, ovvero le serate in cui i poeti interpretano le loro composizioni mettendosi in concorrenza con i colleghi e sottoponendosi al giudizio del pubblico.

Oliviero_Ponte_di_Pino

2008-12-10T00:00:00




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