Le recensioni di “ateatro”: Edipo a Colono di Sofocle

Regia di Mario Martone, Teatro India

Pubblicato il 23/05/2004 / di / ateatro n. 069

Con Edipo a Colono Mario Martone torna a misurarsi per la terza volta con il ciclo tebano, anche se la cronologia degli allestimenti con segue quella degli eventi narrati. Dopo I sette contro Tebe di Eschilo nel 1996 (intorno alla cui messinscena sarebbe poi concresciuto il film Teatro di guerra) era stata la volta dei due testi di Sofocle che hanno per protagonista Edipo – e che dovrebbero dunque precedere lo scontro fratricida tra i die figli di Edipo di fronte alle mura di Tebe. Nel 2000 è toccato all’Edipo Re, in teoria la tappa iniziale della saga tebana: con la complicità dello scultore-scenografo Mimmo Paladino, Martone aveva sventrato il Teatro Argentina sospingendo gli spettatori nei palchi a guardare in basso verso la platea, ovvero la città appestata e invasa da un corpo di profughi. Erano i tempi in cui il regista napoletano dirigeva il Teatro di Roma (che ora produce questo spettacolo) e inaugurava l’India, che con i suoi diversi spazi ospita e «ambienta» quattro anni dopo questa nuova tappa «edipica».
Rispetto all’Edipo Re si colgono numerosi ribaltamenti. Nell’Edipo a Colono il profugo è Edipo, un Toni Bertorelli che avanza appoggiandosi al bastone, il piede malato avvolto in una sacchetto di cellophan, la figlia Antigone (Elena Bucci, in abiti scuri e il capo coperto da uno scialle nero di sapore mediorientale) a trascinare il borsone con le loro povere cose, una coperta, la bottiglia di plastica per l’acqua… Il coro sono questa volta i «cittadini», gli abitanti di Colono (e di Atene), che spesso non a caso si confondono tra gli spettatori, chiamati nella democratica polis ad accogliere o rifiutare un vecchio cieco su cui grava la maledizione della sua città.
Lo spettacolo diventa un percorso, con quattro tappe scandite in altrettanti spazi.
La prima scena, l’arrivo di Edipo e della figlia nell’area sacra di Colono (qui resa tale da un gigantesco tondo a bassorilievo e sfregi neri di Paladino, ovvero dall’arte), si svolge all’aperto, mentre il sole tramonta su un paesaggio di rovine industriali.
La seconda è accolta nello spazio della città, un interno, una grande sala che si apre sullo sfondo verso l’argine del Tevere; sarà qui che Edipo verrà accolto dal sovrano ateniese Teseo (Andrea Renzi), il cui trono è sistemato al centro della tribuna del pubblico; sarà qui che si scontrerà con il tebano Creonte (un Gianfranco Varetto bloccato su una sedia a rotelle) che viene a reclamarlo con un seguito degno di un boss mafioso, un manipolo di gangster armati con macchinoni blindati dai vetri fumé; sarà qui che incontrerà per l’ultima volta i figli Ismene (Monica Piseddu) e Polinice (Valerio Binasco); ma sullo sfondo si vede la piscina per le abluzioni rituali. La città è dunque il luogo dove il sacro e il civile, la politica e il rito, entrano in rapporto dialettico.
La morte di Edipo avrà per scenario una rampa che sale verso l’esterno e poi si perde nel nulla della natura, là dove le sagome dei cespugli si disegnano sul buio della notte.
Dopo che l’eroe l’avrà salita per andare incontro al suo destino, alle spalle del pubblico si aprirà una candida parete – su cui Paladino ha infisso una miriade di piedi, il segno «etimologico» di Edipo «piedi bucati»: oltre quel muro, uno spazio chiaro e rettangolare, disseminato di frammenti di sculture su cui sono appoggiate mitragliette e fucili, perimetrato dalle panche per il pubblico, che si addossa dunque verso le quattro pareti. Sarà qui che i cittadini-coreuti imbracceranno le armi, per una guerra di cui il corpo e la tomba di Edipo, maledetto e sacro, colpevole e innocente, sono diventati il talismano.
E’ un percorso di indiscutibile suggestione, condotto con grande misura e arricchito dagli interventi di Paladino, che regalano a ogni spazio un tocco magico. Dimenticati l’esplosione della peste e il disordine che caratterizzavano l’Edipo Re, questo Edipo a Colono segnala riscoperta dell’aspetto rituale del teatro, e una apertura alla dimensione del sacro. La riflessione civile resta centrale, a cominciare dagli allusivi costumi di Loredana Putignani, ma si allude continuamente all’intreccio dei destini umani con l’intervento divino, i rapporti di forza bellici con la magia che può emanare un cadavere. Perché la guerra – come vediamo in queste settimane – non riguarda solo la forza delle armi ma anche l’emergere e il riemergere di simboli radicati nei nostri corpi.

Oliviero_Ponte_di_Pino

2004-05-23T00:00:00




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