Fermenti teatrali a Nord Est

Cronaca e incontri a margine della conferenza Scena e Controscena, Marghera, mecoledì 13 gennaio 2010

Pubblicato il 01/03/2010 / di / ateatro n. 126

Questa relazione/cronaca è parte della ricerca del gruppo di lavoro “Spazi e prospettive per il giovane teatro e il giovane pubblico in Veneto” (Ca’ Foscari-Tars, corso “Pratiche gestionali del teatro pubblico”)

Il fermento teatrale del Nordest italiano degli ultimi anni è ormai cosa nota, specie per quanto riguarda la zona del Veneto. Molte sono le compagnie venete che hanno ricevuto prestigiosi riconoscimenti: Babilonia Teatri (Premio Scenario 2007, Nomination Premi Ubu 2008), Pathosformel (Segnalazione Premio Scenario 2007, Premio Ubu 2008), Anagoor (Segnalazione Premio Scenario 2009), Fagarazzi&Zuffellato (Premio Extra 2007/08, Vincitori del bando Moving di Fabbrica Europa), Plumes Dans la tête (inseriti nel progetto Nuove Creatività dell’ETI) sono solo alcune delle compagnie che il critico Renato Palazzi ha definito Generazione T. Quest’ultimo non è l’unico tentativo di denominazione. Basti pensare che solo al convegno Scena e Controscena del 13 gennaio 2010 al Teatro Aurora di Marghera sono ben tre le ulteriori denominazioni che gli addetti ai lavori hanno tentato di dare. Si è passati dalla Generazione 2000 di Antonino Varvarà, direttore artistico del Teatro Aurora, alla Generazione 00 di Andrea Nanni, finendo con la Generazione 2.0 di Giambattista Marchetto.
Ma a controbattere a questo sentito bisogno di incasellare in qualche modo le compagnie sono proprio i diretti interessati, i giovani teatranti. Come ben spiega Roberta Zanardo dei Santasangre, la definizione di una generazione sembra fare riferimento a una relazione con il passato, mentre i giovani qui presenti invocano, piuttosto, un collegamento con il complicato futuro che dovranno affrontare. Ed è proprio questa la prima difficoltà emersa nel convegno: all’apparente bisogno di proclamare una nuova generazione teatrale, si contrappone la difficoltà di percepire delle analogie tra queste nuove compagnie, che fin troppo si distinguono l’una dalle altre sia per l’estrema varietà delle tipologie di lavoro (non sarebbe minimamente pensabile affiancare un certo tipo di teatro come quello degli Anagoor con quello dei Babilonia Teatri), sia anche per le diverse età dei vari componenti del cosiddetto “giovane teatro”.
Perfino il tentativo di evidenziare il Veneto come area centrale di questo sviluppo non convince fino in fondo. Solo per fare un esempio, tra le varie formazioni abbiamo i Pathosformel, considerata compagnia veneta di punta, ma che vede i propri componenti provenire da città ben diverse (Bologna, Milano e Parma). Il fatto che essi si siano conosciuti allo Iuav di Venezia potrebbe bastare per considerare che hanno avuto una formazione “di area veneta”, anche se i componenti di molte altre compagnie venete di nascita, si sono in realtà formati fuori regione. Ma parlando di formazione in zona veneta è in effetti interessante rilevare quanto possa essere stato influente lo Iuav, (l’istituto che integra percorsi legati ad Architettura, Design e Arti, Pianificazione del territorio), frequentato oltre che dai Pathosformel anche da Simone Derai (Anagoor) e da Silvia Costa (Plumes dans la tête) o le residenze e i diversi laboratori teatrali, ai quali quasi tutti i componenti delle compagnie hanno partecipato e di cui, a Scena e Controscena, non si è minimamente discusso (a vantaggio delle accademie alle quali è stata dedicata ampia attenzione).
Ma se – in un modo o nell’altro – l’area veneta ha influito e è il territorio da cui si parte o su cui si muove (o vorrebbe muoversi), quella che è stata definita una nuova generazione teatrale, è importante capire che cosa accomuni in un unico insieme questi gruppi e quali sono state le cause e potrebbero essere gli effetti nel panorama teatrale regionale.
Ha offerto argomenti interessanti per rispondere alla prima domanda la relazione di Antonino Varvarà. Quello che accomuna questi gruppi è l’attenzione nei confronti del Contemporaneo, di ciò che è legato alla vita, alla società, ai valori, alla storia del nostro vivere quotidiano e sociale in questo preciso contesto sociopolitico, come dimostrano magnificamente i Babilonia Teatri con tutti i loro spettacoli, ma anche il Collettivo TBT con North-B-East, e come risulta ancora più esplicito nella dichiarazione di poetica degli Anagoor (Apparteniamo a una generazione che non ha conosciuto il proprio territorio vergine ma è nata e cresciuta durante e dopo la sua definitiva devastazione…). Un secondo interessante punto in comune, consiste nel fatto che i componenti delle giovani compagnie provengono da discipline diverse, che variando dalla danza all’arte visiva, passando per le esperienze più disparate. La conseguenza nei processi di produzione e in scena è una grande distanza dai generi convenzionali cui, in particolare i pubblico veneto, è abituato. Spesso non esiste una recitazione canonicamente intesa, e non è presente un vero regista, lasciando le decisioni alla totalità del gruppo. Non esiste nemmeno un autore che stia al di fuori dal gruppo: se voler rappresentare uno spettacolo significa spiegare la contemporaneità, a maggior ragione chi crea un prodotto originale se ne sente “interprete” a tutti gli effetti (in grado di “spiegare” e trasmettere) la sua visione di contemporaneità (ancora Varvarà, ricalcando peraltro un’analisi di Renato Palazzi).
Un altro elemento comune è la “contrazione” dei tempi delle rappresentazioni. Spesso si assiste a spettacoli sorprendenti per una ventina di minuti, ma che per il resto – forse anche per logiche di mercato – vengano stiracchiati per altri venti o trenta minuti. Eppure questa del 2000 è la generazione della comunicazione immediata, nella quale la comunicazione si contrae (…). La brevità non è necessariamente un limite se essa è sintesi, e se la sintesi è densità. Anche il critico Andrea Nanni si esprime a tal proposito suggerendo serate teatrali che combinino più performance, per soddisfare un pubblico più differenziato.
Infine va considerata la maggior visibilità di queste nuove compagnie, rispetto a quelle di vent’anni fa. Molto lo si deve ad alcune personalità – operatori, critici, organizzatori, direttori artistici – che nel nordest hanno fatto strada nel rinnovamento delle formule di presentazione e nell’invenzione di vie di relazione alternative fra scena e platea, fra progetto e produzione, fra sviluppo e distribuzione. Come ricordano gli artisti nell’incontro “Scena & Controscena”, il merito va dato a tutte quelle piccole realtà cresciute negli ultimi anni assieme ai gruppi, sancendo nell’annata del 2007 quel giro di boa che ha consolidato il successo (o i risultati) di gran parte delle compagnie: un successo che non va quindi considerato casuale, come afferma Paola Villani dei Pathosformel. Tra queste realtà non si può far a meno di citare l’evoluzione di festival quali OperaEstate di Bassano e di Drodesera per quanto riguarda il nordest italiano. I festival non si limitano più ad essere una vetrina, ma diventano luogo di produzione: le residenze sono solo l’ultima tappa, di fondamentale importanza, per la crescita di un gruppo. Senza tutto ciò sarebbe stato improbabile giungere alla situazione attuale.
Ma non sono da sottovalutare i possibili rischi di questo nuovo sistema. Facendo riferimento alle nuove compagnie, il critico Andrea Porcheddu ha scritto: Una nuova ondata, vivace ed espansa, che si impossessa in fretta della scena nazionale, tanto da far apparire veterani i giovanissimi veronesi Babilonia Teatri e dei consolidati “maestri” artisti quarantenni come Fabrizio Arcuri dell’Accademia degli Artefatti o Motus. Lo stesso Palazzi fa riferimento al processo di “democratizzazione del teatro”: oggi sembra più facile ‘entrare’, il teatro sembra infatti essere più ricettivo.
A Marghera, Teatro Sotterraneo ricorda che esiste una selezione naturale anche della specie teatrale: durante un convegno tenuto a Scandicci l’estate scorsa (vedi Antonio Porcheddu su delteatro.it), un giovane regista esclamò ironicamente “Speriamo di essere decimati!”; sono questa velocità nel cambiamento e i ritmi forsennati che costringono le compagnie all’ansia del debutto a tutti i costi, senza possibilità di un’accurata ricerca, né tanto meno di errore. Ormai tutte le principali rassegne nazionali sono in ricerca di anteprime (ad esclusione di Armunia). Massimo Paganelli concorda nel dire che non c’è spazio, né tempo per lo “spreco creativo”, un misto di tentativi, ricerche, esperimenti che consente la maturazione e la rappresentazione esaustiva di poetiche compiute o in divenire. Ascoltando il parere degli artisti emerge un disagio comune: più che di “spreco creativo”, sarebbe opportuno parlare di “spreco di creatività”: un sequenza di questioni organizzative, finanziarie, promozionali, assorbe tempo e energie, e non solo distoglie dall’invenzione artistica, ma deprime, smorza gli entusiasmi. Da qui la richiesta a organizzatori, curatori, critici, di un “accompagnamento” che vada anche in questa direzione, nel facilitare o sollevare un insieme di mansioni che esulano da quelle dell’artista.
Ritornando a Renato Palazzi – che, assente al convegno, è il critico maggiormente impegnato per quanto riguarda l’analisi del lavoro delle giovani compagnie, quindi il più citato – in occasione del convegno di Scandicci, si pose alcune domande basilari: se la diffusa vitalità sia davvero superiore al passato o se sia un semplice ricambio fisiologico. Se si tratti di un fenomeno oggi più valorizzato solo per esigenze di mercato. Se si possa dire che siano davvero innovativi questi gruppi.
È con un accenno di provocazione che Varvarà scrive: Mi viene da pensare all’incidenza che può avere quello che io chiamo il conformismo dell’anticonformismo, quell’atteggiamento cioè che assumiamo davanti a uno spettacolo o a un evento che, per il solo fatto di essere diverso, è anche nuovo e quindi ha valore. Atteggiamento che è ugualmente presente nello spettatore come nell’organizzatore teatrale.
Altre interessanti considerazioni sono della giovane Silvia De Marchi:
A volte si assiste ad una rivalutazione del talento nascosto o incompreso, sia da parte della critica che degli organizzatori, non si sa se per stanchezza del già noto, per attenzione sincera o altro. Di certo l’apertura è stata incentivata dalla crisi e dalla necessità di acquistare “prodotti” a costo pressoché azzerato. Altrettanto chiara è la volontà di alcuni operatori di emanciparsi ed emergere rispetto ai circuiti consolidati e di distinguersi tramite la novità, l’originalità, l’esordio; di promuovere, dunque, prodotti poi privatizzati in quanto “propri”. Anche l’opportunismo (speculativo) di certe etichette come “made in Nord Est” o lo stesso “giovane teatro italiano” risulta sospetto.

Nel seguito degli interventi è di nuovo emerso lo spartiacque del 2007, anno di numerosi exploit, e il possibile collegamento con il patto Stato-Regioni: è stata una convergenza finanziaria a catalizzare la nuova scena italiana? Una simile prospettiva la dice lunga sull’insieme di esperienze che non saranno più illuminate da un’analoga pioggia di fondi… Anche Elena Lamberti, quasi in conclusione, ha sottolineato che l’etichetta “giovane teatro” si rivolge esclusivamente ad alcune realtà ben specifiche, emerse appunto in un contesto storico e finanziario circoscritto e qualificate dai premi nazionali.
Ulteriori spunti di riflessione arrivano dall’analisi di Roberta Ferraresi su iltamburodikattrin.com (a commento del convegno di Marghera): il tema non è di quelli da lasciar perdere nelle parole di un giorno, affinché quella che si è fatta conoscere e si è riconosciuta, potentemente, come una nuova generazione della scena contemporanea, non sia costretta, nel giro di qualche anno, come spesso è accaduto nel nostro Paese – dalla regia critica alla Postavanguardia ai Teatri Novanta gli esempi si sprecano – a rientrare nei ranghi, riconvertendosi alle forme di un sistema che solitamente ha preferito alimentare se stesso (anche andando alla continua famelica scoperta del nuovo) piuttosto che sostenere seriamente lo sviluppo dell’innovazione che si era appena proposta.

Dunque cos’è successo veramente nel fatidico 2007? Da dove è partito tutto? E ancora quanto durerà tutto questo? Come risponderà il pubblico una volta abituatosi alle diverse cifre stilistiche che presentano le singole compagnie? Riusciranno ad imporre nuovi generi e ad aggiornarli in modo tale da mantenere vivo l’interesse degli spettatori? O bisognerà andare in ricerca di ulteriori novità finendo in un gioco al massacro?
Sono solo alcune delle domande alle quali bisognerebbe trovare delle risposte, ben sapendo che tutto questo fermento potrebbe finire all’improvviso, come già troppe volte è successo. In Veneto si è resi conto dopo due anni di ciò che era successo nel 2007 (e ancora non se ne è ben capito il motivo), facciamo in modo non sia troppo tardi anche quando ci accorgeremmo che tutto ciò sarà già finito.

David_Benvenuto

2010-03-01T00:00:00




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