La critica è inutile? Un quiz

Alcune riflessioni dopo le polemiche di queste settimane tra artisti, critici e spettatori

Pubblicato il 03/10/2014 / di / ateatro n. 151

In queste settimane impazzano in rete accesi dibattiti sul ruolo della critica teatrale. Artisti oltraggiati scatenano campagne contro i critici crudeli, raccogliendo solidarietà e sostegno da colleghi e spettatori. Dietro molti post, si avverte una forte insofferenza per il ruolo della critica (non solo teatrale), che suscita qualche banale domandina.

# Il critico deve riflettere il gusto del pubblico?

Un tempo le recensioni si chiudevano con una informazione, del tipo: “Al calar del sipario tre minuti di applausi”. Il critico dava conto della reazione degli spettatori (quelli della prima, naturalmente), ma non necessariamente ci si allineava. Per conoscere il gradimento degli spettatori ci sono l’Auditel, le classifiche dei best seller, le hit parade, i Biglietti d’Oro dell’Agis, i “Mi piace” su Facebook. Una parte del pubblico orienta i propri consumi culturali sulla base di queste informazioni. Non c’è bisogno del critico per dargliele. Se vuole, il critico può anche esercitarsi nella “estetica della ricezione”, ovvero cercare di capire le reazioni degli spettatori di fronte a un’opera.

# Il critico deve dire agli spettatori cosa devono andare a vedere?

No, per quello serve l’ufficio marketing dei teatri e delle compagnie. Naturalmente nelle recensioni potete trovare la frase d’effetto da sparare nelle pubblicità o nel comunicato stampa, o da inserire nel dossier per farsi comprare lo spettacolo da teatri e festival, ma i critici non sono i copywriters del teatro. Il realtà, la percentuale degli spettatori e dei lettori che seguono i consigli dei critici (per fortuna o per sfortuna) è piuttosto bassa.

# Il critico deve essere ignorante e incompetente?

Per riflettere e interpretare il gusto dello spettatore medio, si ritiene che il critico debba essere ignorante: non deve aver letto Proust, non deve ascoltare Radio3, non deve leggere i supplementi culturali dei quotidiani, non deve aver visto le opere precedenti di quell’artista, non deve conoscere la storia del teatro. Per immedesimarsi nello spettatore-qualunque, al critico-qualunque basta capitare lì per caso ed esprimere il suo gusto personale e dunque insindacabile.
In realtà il critico è un esperto, che dovrebbe aver visto, letto, studiato. Il critico fa paragoni (tra le diverse opere di quel genere, tra le diverse opere di quell’artista), traccia mappe, individua tendenze (con il rischio di fare di ogni erba un fascio). Utilizza le proprie competenze specifiche (non necessariamente solo interne) per leggere un’opera o un percorso artistico.
Il critico : vede molte opere, frequenta decine di artisti e segue il loro percorso, magari ha qualche nozione di politica ed economia della cultura, conosce e analizza le reazioni del pubblico (o dei pubblici). Dunque a volte osa “storicizzare”, anche se questo lede la presunta unicità di ogni agire artistico. E può addirittura permettersi riflessioni di carattere generale sullo “stato dell’arte”, che non è sempre roseo.

# Il critico deve allinearsi alle opinioni dei “colleghi autorevoli”?

Per cominciare, non esiste “la critica”, ma esistono i critici. Tra di loro ci sono divergenze di opinioni, metodo, atteggiamento. Possono litigare ferocemente, detestarsi o stimarsi. Ogni spettatore – e ogni critico – ha i suoi gusti, passioni, a volte anche antipatie e repulsioni.
Se la critica è unanime, i casi sono tre:
1. siamo davanti al capolavoro (capita, anche se di rado, e di solito gran parte della critica non se ne accorge);
2. quell’artista è diventato di moda;
3. è pensiero unico.
Nei casi 2. e 3. ben venga un pensiero dissonante.

# Il critico è solo un artista fallito, che sfoga le sue frustrazioni distruggendo i veri artisti?

Se fosse davvero così, un critico dovrebbe parlar male di tutto quello che vede, no?
Chi scrive di teatro – e questo vuol dire andare a vedere decine (o centinaia) di spettacoli all’anno, invece di dedicarsi ad altre attività forse più piacevoli – lo fa perché ama il teatro, perché spera di scoprire nuovi talenti, perché trova interessante riflettere su quello che ha visto e condividere i propri pensieri. Magari a scrivere un pezzo ci mette venti minuti, ma dietro quello che scrive c’è tutta una vita (e questo si vede nei suoi testi, nel bene e nel male).

# Il critico può dire che uno spettacolo è brutto?

Se volete qualcuno che vi dica sempre e solo che siete bravi, belli e buoni, anzi dei veri geni, fatevi recensire solo dalla mamma, o dal vostro fidanzato o fidanzata.
“Ma gli artisti, poverini, ci mettono un sacco di tempo e fatica a creare le loro opere. E’ un mondo difficile, il mercato è piccolo e sovraffollato, una stroncatura è l’anticamera del fallimento. Si liquida un’opera in un articolo buttato giù di fretta, parlar male di uno spettacolo significa distruggerlo e infangare tutti gli altri artisti.”
Dal punto di vista critico, dire che uno spettacolo è “bello” o “brutto” non vuol dire assolutamente nulla. Non è critica, come non sono critica le stelline sotto le recensioni. La critica inizia quando ci si chiede perché un’opera è bella o brutta, perché un’opera è importante, o innovativa, o sciatta, o banale, o inutile, o peggio. Così un critico si costruisce una scala di valori, in base alla quale guarda, ragiona e giudica. Purtroppo di spettacoli brutti e inutili ne circolano moltissimi. Capire quali sono (e perché lo sono) fa bene al teatro, evita di spacciare bufale agli spettatori, migliora l’ecologia del teatro.

# Il critico può sbagliare?

I critici sbagliano spessissimo. Ma ci mettono il nome, la loro competenza, il loro impegno. Non usano pseudonimi o avatar. Cercano di costruirsi autorevolezza o credibilità giorno dopo giorno, articolo dopo articolo.
Gli artisti sono (giustamente) molto più popolari dei critici. Lanciare su Facebook una campagna contro il critico – soprattutto se giovane e poco conosciuto – è un’operazione facilissima, che raccoglie in un lampo tantissimi “Mi piace” e un rosario di coccoline virtuali al genio oltraggiato e insulti al colpevole di lesa maestà. Così l’artista sublime stende un balsamo sul proprio narcisismo, e continua a produrre operine mediocri.

# La democrazia della rete ha reso obsoleta la critica?

L’ideologia delle rete si fonda su alcuni presupposti:
1. la fine degli “esperti” a favore dell’intelligenza collettiva e collaborativa della rete, sul modello wikipedia;
2. la disintermediazione: nel caso specifico, artisti e fruitori comunicano direttamente, senza la mediazione del critico (pedagogica, ideologica, autoritaria);
3. la democrazia diretta : tutti possono esprimere la loro opinione su qualunque argomento; come spiega Google nella pagina dedicata alla propria “filosofia”,

la ricerca Google funziona perché si basa sui milioni di individui che pubblicano link su siti web per determinare quali altri siti offrono contenuti validi. Google valuta l’importanza di ogni pagina web utilizzando più di 200 segnali e svariate tecniche, compreso l’algoritmo brevettato PageRank™ che analizza quali siti sono stati “votati” come migliori fonti di informazioni da altre pagine sul Web. Questa tecnica, in effetti, migliora man mano che il Web aumenta di dimensioni, in quanto ogni nuovo sito è un’altra fonte di informazioni e un altro voto da contare.

In quest’ottica, la critica tradizionalmente intesa non ha più alcun senso.
Ma in questo scenario non ha più spazio nemmeno il pensiero critico.

RISPOSTA: Se avete risposto sì a tutte le domande del quiz, potete iniziare a fare il critico.




Tag: critica teatrale (85)


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