#DuettoCritico2015 | Il Premio Scenario, ITFestival e i nuovi talenti

Dove si parla di Angela Demattè, Caroline Baglioni, Frigo Produzioni, DispensaBarzotti, Mario De Masi e altro ancora

Pubblicato il 06/03/2016 / di and / ateatro n. 157 , Duetto Critico

#DuettoCritico2015 è il frutto di conversazioni dopoteatro. Sguardi incrociati, a volte paralleli a volte divergenti, hanno acceso discussioni intorno ad alcuni spettacoli del 2015, significativi perché suggeriscono qualche riflessione sul teatro e sulla sua evoluzione.

15/01/2016 Ci scusiamo per il disagio degli Omini, vincitori dell’edizione 2015 di Rete Critica.
18/01/2016 Mount Olympus di Jan Fabre
20/01/2016 Please, Continue (Hamlet) di Yan Duyvendak e Roger Bernat
22/01/2016 Schwanengesang D744 di Romeo Castellucci
25/01/2016 MDLSX dei Motus con Silvia Calderoni (Dedicato a Sandra Angelini)
07/03/2016 Premio Scenario, ITFestival & nuovi talenti dove si parla di Angela Demattè, Caroline Baglioni, Frigo Produzioni, DispensaBarzotti, Mario De Masi e altro ancora
#staytuned

#DuettoCritico2015 ha esplorato alcuni tra gli spettacoli più significativi e spesso innovativi dell’annata teatrale, opera di artisti già affermati. Ma che cosa sta accadendo sul fronte delle giovani realtà nel nostro paese? Sono diverse le manifestazioni che si sono date la missione di esplorare questo fronte, per scoprire e valorizzare i talenti emergenti, con formule e modalità di selezione differenti: per esempio Kilowatt che si avvale dei Visionari, un gruppo di spettatori che sceglie gli spettacoli da invitare al festival, o InBox, che attraverso una raccolta sistematica di candidature ha costruito un archivio con centinaia di video di spettacoli, o il Premio Scintille riservato a compagnie under 35.
Altre realtà dimostrano attenzione al contemporaneo: a Milano ci sono Next, una anteprima delle produzioni teatrali lombarde finanziata dalla Regione e destinata soprattutto agli operatori, e ITFestival, manifestazione autogestita dalle compagnie milanesi. A Roma resistono rassegne come Short Theatre o Teatri di Vetro, o il Premio Dante Cappelletti, a Prato c’è invece Contemporanea. E naturalmente tutta la rete dei festival estivi con una sensibilità al nuovo.
Insomma, l’attenzione per i giovani artisti e le giovani compagnie è assai viva. I talent scout non mancano e pare improbabile che esperienze davvero valide passino inosservate agli occhi di tutti. Anche se il gusto della maggioranza degli addetti ai lavori restasse limitato, qualche occhio critico più sveglio e attento certamente si auspica sia attivo. Il rischio è piuttosto quello di enfatizzare eccessivamente qualunque scintilla di novità, sull’onda della moda.

Il Premio Scenario
Per quanto riguarda la valorizzazione del nuovo, modello e capofila in Italia è da anni il Premio Scenario, presieduto e diretto da Cristina Valenti. Giunto nel 2015 alla XV edizione, Premio Scenario era nato nel 1987 per volontà di Marco Baliani con lo “scopo di valorizzare nuove idee, progetti e visioni di teatro”, come si legge nel sito online. Negli anni ha cambiato la propria formula, ma è da sempre un concorso a fasi di selezione e valutazione nelle quali si parte da un’idea progettuale e man mano che si superano le tappe il progetto va sviluppato e allungato. Santarcangelo è la tappa finale, dove arrivano le dodici compagnie italiane under 35 selezionate presentando appunto 20 minuti di progetto inedito. Le prime quattro ricevono un finanziamento e un supporto per realizzare uno vero e proprio spettacolo. Dal 2003 si è stretta una collaborazione con l’Associazione dei Parenti delle Vittime della Strage di Ustica: è nato così il Premio Ustica per il Teatro, dedicato a progetti di interesse sociale e di impegno civile.
Nato poi nel 2008 e giunto alla sua quinta edizione, Interscenario è il progetto che segue il Premio Scenario con una cadenza biennale, presentando la Generazione Scenario, ovvero gli spettacoli vincitori, segnalati e menzionati dell’ultima edizione del concorso: “Un’iniziativa di Centro La Soffitta, Compagnia del Teatro dell’Argine, Teatri di Vita In collaborazione con Teatro Comunale Laura Betti, ATER circuito regionale multidisciplinare, Associazione Scenario, Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica, Assemblea Legislativa Regione Emilia-Romagna”, come si legge sul sito.
Luogo spesso di riflessione sulla condizione del teatro italiano e di polemiche, di recente è stato escluso dal FUS per il triennio 2015-2017 perché l’amministrazione ha ritenuto che non fossero stati rispettati i requisiti necessari per l’accesso.

La finale di Scenario 2015 a Santarcangelo

Biancarossa

MAB Ensemble, Biancarosarossa

La fase finale dell’edizione 2015 si è tenuta nel caldo luglio 2015 nel Lavatoio di Santarcangelo. I dodici finalisti, provenienti da tutta Italia, hanno portato in scena i venti minuti con i primi studi sui loro spettacoli.
Tre lavori si sono fermati alla segnalazione.
Biancarosarossa della compagnia veronese MAB Ensemble è centrato sul rapporto con la figura materna, dal punto di vista di figlie e di future madri.
Il paradiso degli idioti porta uno sguardo sul nostro mondo filtrato da occhi di plastica indossati dagli attori della compagnia La Ballata dei Lenna, della provincia di Alessandria.
il_piccolo_guittoIl piccolo guitto di e con Massimiliano Aceti (Roma) porta in scena un bambino che scopre di avere il dono di far ridere gli altri, e la sua paura di non riuscire a gestirlo.
Industria Indipendente di Roma ha presentato Ho tanti affanni in petto, ovvero l’Iliade come manifesto di educazione per le nuove generazioni.
Altri tre sono stati proclamati vincitori.
Homologia dei torinesi DispensaBarzotti, Pisci ‘e paranza di Mario De Masi della provincia di Avellino, e Mad in Europe – Uno spettacolo in lingua originale di e con Angela Dematté, che si è aggiudicata il primo posto.
I cinque finalisti del Premio per Ustica hanno esplorato tematiche diverse.
In Kitchen Stories #1: Tutto l’Amore è Clandestino, della compagnia capitolina Ditta Alesse Argira, il cibo diventa pretesto di intesa e di conoscenza di culture.

Scusate se non siamo morti in mare del gruppo milanese Arte Combustibile, su testo del giovane e già premiato drammaturgo Emanuele Aldrovandi, racconta l’emigrazione dall’Europa verso continenti più ricchi, dopo l’ennesimo crollo dell’economia.
2001: odissea sulla terra dei napoletani Cerbero Teatro fa rivivere in accelerazione l’anno cruciale per la storia moderna, il 2001 appunto.
Courage! dei pescaresi Muré Teatro, mostra come i popoli siano da sempre migranti.
Caroline Baglioni da Perugia ha scritto e interpretato un monologo ispirato alla vera storia di suo zio, Gianni, vincitore della sezione Ustica.

Temi e linguaggi
Come si intuisce già dai titoli, i temi trattati sono molto diversi e tendono tutti a confrontarsi con il contemporaneo e con la realtà che ci circonda. E’ una tendenza rilevata da Cristina Valenti: nelle ultime stagioni, molti spettacoli portano a particolare evidenza (…) le valenze politiche del nesso fra indagine sulla contemporaneità e ricerca sul linguaggio” (Cristina Valenti, Lineamenti di un non movimento. Indagine sulla contemporaneità e nuovi paradigmi del politico nel teatro del terzo millennio, in “Culture Teatrali 2015”, La terza avanguardia. Ortografie dell’ultima scena italiana, a cura di Silvia Mei, p. 134).

Scusate se non siamo morti in mare

Arte Combustibile, Scusate se non siamo morti in mare

L’immigrazione e il senso di appartenenza a una comunità sono i temi più ricorrenti. E’ sempre interessante vedere come giovani compagnie raccontino e rappresentino spaccati di vita, e come interpretino e vivano il loro quotidiano e siano in grado di ritrasmetterlo. Quello che però sembra mancare è spesso la capacità di immedesimarsi nel presente: la rappresentazione della realtà rischia di restare superficiale e poco attuale, generica, datata e poco credibile. Le idee ci sono, ma manca la capacità – o la ferocia – critica, le intenzioni non riescono a concretizzarsi nello spettacolo. C’è la voglia di affrontare questioni di ampio respiro, ma il rischio è di limitarsi solo a sfiorare la superficie dei problemi, senza costruire un immaginario.

I quattro vincitori

Angela Dematté, Mad in Europe

Angela Dematté, Mad in Europe

Secondo la motivazione, Angela Dematté con Mad in Europe – Uno spettacolo in lingua originale ha vinto il Premio Scenario per la “maturità di scrittura scenica sostenuta dall’invenzione di un personaggio alla deriva e dalla ricerca di una lingua capace di raccontarlo”.
Angela Dematté, già vincitrice del Premio Riccione nel 2009, porta in scena la confusione di una interprete che lavora al parlamento europeo, dunque parla svariate lingue, e si ritrova incinta. La confusione si riversa nel linguaggio: non è in grado di manifestare un pensiero coerente, in una lingua da un lato troppo moderna per poter essere compresa, e dall’altro troppo reazionaria per poter essere accettata. Il problema di fondo è l’incapacità di comunicazione tra i popoli, e questo si coglie appieno: il linguaggio è da sempre sinonimo di appartenenza a una comunità e nel momento in cui o questo o la comunità vengono meno, l’identità dell’individuo subisce una scossa, un tracollo.

Angela Dematté, Mad in Europe

Angela Dematté, Mad in Europe

Con quale lingua ci dobbiamo relazionare nel nuovo mondo? Con chi? Ogni giorno assistiamo a mutamenti di scenari geopolitici che ci fanno perdere tassello dopo tassello l’identità che i nostri padri avevano costruito per noi. E noi la dovremmo ricostruire con le poche forze che ci vengono concesse.
La depressione, qui rappresentata come una semplice confusione mentale, è però possibile conseguenza di tutto questo: la perdita di coscienza del proprio io, sommata all’angoscia del peso del diventare genitori, possono essere i mali di oggi, che caratterizzano una generazione non più in grado di identificarsi con vecchi standard preimposti, ma che deve costruire ex novo il proprio cammino in questo nuovo mondo.
Da un lato la Demattè ci pone quindi di fronte a tematiche estremamente concrete e attuali, ma dall’altro però usa espressioni drammaturgiche che denotano un attaccamento a una condizione di conservatorismo quasi incomprensibile. Quale madre oggi pensa alla nascita del proprio figlio come alla nascita di prole per la nazione, in maniera così goffa?

Caroline Baglioni, Gianni

Caroline Baglioni, Gianni

Gianni di Caroline Baglioni ha vinto il Premio Scenario per Ustica 2015 perché, come si legge nelle motivazioni, “colpisce la trasformazione di un materiale biografico intimo e drammatico in un percorso personale di ricerca performativa”.
Caroline Baglioni recupera vecchi file audio incisi da uno zio colpito da depressione e tragicamente scomparso, dai quali si evince il bisogno e il desiderio di stare bene, il suo obiettivo primario. La trascrizione di questi file fa nascere una drammaturgia intima e toccante, nella quale si sottolineano lo stato d’animo del malato e anche della nipote che è stata testimone della sua condizione.
La giovane attrice che dà voce al maturo protagonista entra in scena portando in braccio un mucchio di scarpe spaiate, lo butta per terra, inizia immedesimarsi nello zio. All’inizio è un gioco, calzare una scarpa da donna del proprio numero e un’altra da uomo, indossando simbolicamente la calzatura dell’altro per ripercorrerne i passi e i movimenti, in una camminata sincopata e sconnessa. Tutto questo si ripete finché non sopraggiunge la morte. La drammaturgia ha infatti una struttura schematica, con la successione delle scene scandita da brani musicali noti, nostalgici ed emotivamente calzanti, dai Led Zeppelin a Enzo Avitabile, da Nick Cave & The Bad Seeds agli Afterhours. Questa rotondità è ben studiata e accompagna lo spettatore emotivamente coinvolto alla conclusione, ma senza particolari sussulti. Un’interpretazione convincente e un argomento “caldo” sono le chiavi vincenti per un lavoro che però non risulta apportare nulla di particolarmente innovativo nel panorama teatrale italiano.

Homologia

DispensaBarzotti, Homologia

Una analoga valutazione vale per i due spettacoli con segnalazione speciale del Premio Scenario 2015, Homologia della neo formata compagnia torinese DispensaBarzotti, segnalato per “La purezza e la freschezza di una formazione giovane che esprime una profonda coesione di intenti e di prospettiva”, e Pisci ‘e paranza di Mario De Masi, classe 1985, con la motivazione “Un lavoro d’ensemble che attinge all’universo magmatico di un territorio contestualizzato dove un luogo di transito diventa limbo di esistenze ugualmente perdute e marginali.”
Homologia trova ispirazione in un racconto dell’antropologo inglese Daniel Miller tratto dal testo Cose che parlano di noi. Un antropologo a casa nostra, che raccoglie ritratti scritti degli abitanti di una strada di Londra. Un anziano signore trascina meccanicamente la propria vita, in un susseguirsi di atti e gesti ripetuti. Non si ha più cognizione temporale e spaziale. L’unico contatto con il mondo esterno è la televisione. In scena due attori (ma per la maggior parte del tempo se ne vede solo uno), una poltrona e un televisore: suoni e gesti che ribadiscono il fluire ininterrotto del tempo, il suo arrestarsi e la vita che scivola dalle mani. Ci mostra come tutto risulti intangibile ed effimero come le caramelle che si sono già consumate. Ma non si può tornare indietro. E se non fosse per le maschere indossate, rimarrebbe la banalità della visione.

Pisci 'e paranza

Mario De Masi, Pisci ‘e paranza

Marc Augé definisce tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici come nonluoghi, in contrapposizione al significato antropologico con il quale si identifica un luogo. Pisci ‘e paranza si concentra sulla vita ai margini, attraverso la narrazione in un non luogo come una stazione. Persone che si incontrano nel loro peregrinare, nel loro avanzare immobili e innocue nella società. Ma anche in questo caso l’intento del drammaturgo e regista campano resta indeterminato, vago. Quello che manca è l’urgenza della narrazione.

I quattro spettacoli vincitori sono stati presentati nella loro forma integrale di 60 minuti al Teatro Litta di Milano il 28 e il 29 novembre 2015, prima tappa di un tour che sta toccando diverse città italiane.
I progetti trovano una convergenza proprio nelle modalità di sviluppo, con una nota dolente: la difficoltà di gestire il tempo nel passaggio dai venti minuti all’ora circa (la durata tipo di uno spettacolo). Ma forse il problema è già a monte, nella scelta di presentare progetti della durata di venti minuti. In venti minuti è facile mantenere l’attenzione e il tono emotivo, non serve alzare e abbassare la tensione, costruire uno sviluppo drammaturgico. Ma la brevità può essere un’arma a doppio taglio: da un lato le compagnie sono obbligate a condensare le idee, dall’altro hanno la possibilità di mostrare solo il nocciolo, la parte migliore e meglio sviluppata del lavoro. Quando poi questo materiale viene dilatato, c’è il rischio di non saper gestire al meglio questa evoluzione. Diverse realtà hanno scelto di condensare in venti minuti la totalità di uno spettacolo ancora in fieri, riassumendolo e accorciandolo. Nella versione finale, la mancanza di una adeguata consapevolezza narrativa ha in genere portato a ripetizioni e rallentamenti, poco aggiungendo al progetto iniziale. Mancano approfondimento e analisi, non si raggiunge un adeguato sviluppo strutturale, il lavoro continua a ruotare intorno alle stesse immagini e il suo respiro tende a diventare esangue. SI resta in superficie. Una superficie magari ben confezionata intorno a un’idea azzeccata, ma senza scavare troppo in se stessi e sotto la scorza della realtà.

Una riflessione sul linguaggio
Nelle precedenti edizioni, Scenario aveva intercettato una serie di esperienze radicalmente innovative sul piano della grammatica e della sintassi teatrale: oltre a Emma Dante (vincitrice nel 2001), basti pensare che

“nel 2005 partecipano al Premio Scenario artisti come Francesca Proia, Daniele Timpano, Cosmesi (finalisti), Teatro Sotterraneo (segnalazione speciale), Santasangre, Città di Ebla; nel 2007, oltre ai vincitori Babilonia Teatri e ai segnalati Pathosformel, va menzionata la partecipazione di gruppi come Gli Omini, Fible Parallele, Sineglossa, Mattatorio Scenico; quella del 2009 è un’altra importante “generazione” del Premio (comprende Anagoor, Odemà, Codice Ivan, Marta Cuscunà)” (Roberta Ferraresi, Un “nuovo” nuovo teatro? I teatri degli anni Duemila dal punto di vista degli osservatori, in “Culture Teatrali 2015”, cit., p.26).

Sul versante dell’innovazione del linguaggio teatrale, le ultime edizioni di Premio Scenario sembrano meno “avanguardistiche”. Forme e codici tornano in binari consolidati, con la prevalenza del monologo o il recupero di forme già ampiamente esplorate, puntando soprattutto sulla qualità dell’esecuzione. E’ forse una ricaduta di quello che Cristina Valenti definisce “teatro neopolitico del nuovo millennio”,

“ricostruzione della realtà dal punto di vista tutto personale dell’artista che corrisponde sì a una denuncia di più ampia portata, soprattutto però è portatrice di un risentimento personale, di cui le persone (più che i personaggi) sulla scena sono portavoce e gli spettatori sono testimoni” (Cristina Valenti, cit., p. 140).

Le modalità di espressione sono parte sintomatica di una condizione, e la stagnazione può di conseguenza essere emblema di una immobilità di narrazione. Ferma restando l’ovvia avvertenza che i selezionatori del Premio Scenario non abbiano escluso esperienze significative che andavano in un’altra direzione. In ogni caso i finalisti paiono espressione di un atteggiamento diffuso e condiviso: più attenzione ai contenuti che alla forma; e nei contenuti con una attenzione maggiore allo stato d’animo personale e alla parabola individuale (magari marginale ed eccentrica) che alla riflessione collettiva o alla creazione di miti e figure condivisibili.

La forma breve
Il Premio Scenario usa come tappa intermedia nel processo di selezione lo “studio scenico”, che può esprimere una sintesi o un frammento dello spettacolo. (su questo vedi Silvia Mei, Per una scena “minore”. Le radici contemporanee del teatro breve (2000-2014), in “Culture Teatrali 2015”, cit., pp. 145-159).
La forma breve ha una storia lunga, che risale almeno ai tempi delle sintesi futuriste e sta trovando negli ultimi tempi inventive declinazioni, come nei microdrammi tematici, sperimentati in Italia nella Maratona di Milano nel 2000-2001, a Mittelfest (con focus sulla drammaturgia dell’Europa dell’Est) e riproposti di recente al Teatro Argentina di Roma con Ritratto di una città (2014-2015). Il fenomeno nasce nell’ambito dell’avanguardia (ma un precedente poco noto riguarda il Teatro del Grand Guignol, ispirato alla cronaca nera) ma può trovare un pubblico popolare. A Madrid il Microteatro ha avuto un tale successo che il format si è replicato in Spagna e America Latina. Può portare a contaminazione inedite: il quotidiano britannico “The Guardian” e l’Open Court Theatre hanno studiato, portato in scena e diffuso in rete una serie di microspettacoli su temi di attualità.

ITFestival
Altri festival propongono la formula dei venti minuti di studio, in alcuni casi bozza preliminare di una idea in via di sviluppo, in altri casi vero e proprio spaccato di uno spettacolo compiuto.
Tra questi c’è il milanese ItFestival, che nel 2105, dopo le prime tre edizioni, ha introdotto anche la formula dei 40 minuti per dare la possibilità di mostrare meglio lavori già ultimati (in sostanza, la compagnia che sceglie questa opzione accorpa i due slot da venti minuti ciascuno accordati dalla formula del festival).
Tra gli spettacoli presentati nella formula dei venti minuti, scartato dalle selezioni di Scenario e casualmente in programma al Teatro Litta due giorni dopo il debutto dei vincitori di Premio Scenario, c’era SocialMente di Frigo Produzioni, giovane compagnia milanese formata da Francesco Alberici, Claudia Marsicano e Daniele Turconi.
Lo spettacolo è diviso in sketch e questo contribuisce a dettare alla narrazione un andamento veloce seppur con un ritmo volutamente cadenzato, a sottolineare l’astenia che caratterizza la generazione degli “sdraiati”.
Tra la vita dei due giovani protagonisti, un ragazzo e la ragazza sulla ventina, e le loro reazioni c’è un filtro, che non è più solo la televisione. Oggi i social network sono parte integrante della nostra identità, non sei nessuno se non hai un profilo, non hai una vita se non la condividi. Ma condividi con chi? Con chi è tuo amico online e poi non ti saluta per strada? Portare in scena uno spettacolo sui social network non è facile, si rischia di essere compiacenti e politically correct, ma il filtro giustapposto tra la rappresentazione e il reale trasforma lo spettacolo in una manifestazione tristemente veritiera senza veli opportunistici.

SocialMente

Frigo Produzioni, SocialMente

Francesco Alberici e Claudia Marsicano hanno costruito uno spettacolo veloce e sagace. Il testo è scarno ma con un alto contenuto di verità. Calibra con intelligenza silenzi, dialoghi e monologhi, che ci riportano alle frasi senza senso che leggiamo sul web, dette così, giusto per mostrare al mondo che siamo presenti, sempre connessi al mondo digitale. Il ritmo è quello di uno spettacolo di cabaret o del fumetto: nelle brevi strip protagonisti sono anche le espressioni fortemente marcate dei due giovani attori, perfetti esponenti di una generazione “troppo timorosa di oltrepassare e rompere la barriera del virtuale, e che preferisce continuare a vivere nascosta, al buio, dietro a schermi che li limitano come nello spazio angusto di una bacheca.”
Il tempo e lo spazio perdono di senso, tutto diventa immediato e di dominio comune attraverso un semplice clic. In quel preciso istante ci dimentichiamo di noi stessi, inglobati dalla frenesia del web, sottomessi alla sua velocità e alla sua comunicazione superficiale. Ma il bisogno di espressione e di un riconoscimento identitario lancia un urlo grottesco e incompreso. Un cinico e intelligente fotogramma di come effettivamente ci stiamo riducendo, che porta a domandarci se e in che misura riusciamo a prendere le distanze da tutto questo, con un sorriso sarcastico.
Francesco Alberici e la sua compagnia hanno saputo dosare le immagini, riuscendo a suscitare interesse nella visione “breve” dello spettacolo. In quella “integrale”, si sono aggiunti altri frammenti, che danno ulteriore spessore al lavoro, che risulta approfondito e corposo, con la capacità di far sorridere non precludendo la possibilità di riflessione. SocialMente, fin dal gioco di parole del titolo, sintetizza e analizza la realtà e la menzogna che ci circondano, senza il distacco estetizzante che contraddistingue altri lavori di compagnie giovani, ma gettando uno sguardo ironico sulla realtà, e auto-ironico su una generazione.




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