Denudamenti e intime corrispondenze per spettatori attivi

Be SpectACTive! a Kilowatt Festival

Pubblicato il 21/07/2015 / di / ateatro n. 155

Prima ancora del bel titolo, Ospitali per natura, rende bene il clima e il focus della tredicesima edizione di Kilowatt il progetto di Francesco Ciavaglioli, Adunanza, presentato in progress in apertura del festival di Sansepolcro. In residenza nella cittadina toscana, l’artista abruzzese ha raccolto centinaia di foto di abitanti del luogo (alcune le ha scattate lui stesso, altre gli sono state proposte da quanti hanno risposto all’appello) creando un collage di volti e corpi affiancati l’uno all’altro su un pannello retroilluminato. Applicata una carta traslucida sopra questa superficie, Ciavaglioli ha poi ricalcato e colorato uno a uno i volti, con la collaborazione degli stessi abitanti. Secondo l’artista, che si è ispirato alla Madonna della Misericordia di Piero della Francesca custodita nel locale Museo civico, Adunanza è un ritratto collettivo di Sansepolcro, «un gesto di auto-rappresentazione da parte della comunità, che si manifesta non più al riparo del manto dorato della Vergine, ma decide di esporsi, brillando di luce propria».

"Adunanza", progetto di Francesco Ciavaglioli

“Adunanza”, progetto di Francesco Ciavaglioli

La suggestione iconografica è forte e ovviamente deve fare i conti con tutte le difficoltà che la scena contemporanea incontra nell’aprirsi al confronto con un pubblico che non sia, come usa dire, di nicchia. Tuttavia da anni il festival, diretto da Luca Ricci e organizzato dalla compagnia CapoTrave, cerca un coinvolgimento effettivo della cittadinanza mettendo in gioco pratiche di attivazione del pubblico, chiamato addirittura a scegliere alcuni spettacoli da programmare. Una selezione di comuni spettatori, gli ormai famosi “Visionari”, visionano appunto da dicembre a maggio materiali e video delle compagnie e poi in luglio si confrontano sulle scelte compiute con un gruppo di operatori e critici “fiancheggiatori”. Oltre a pervadere sempre più in profondità il tessuto urbano, dai portici del municipio alle piazze, con spettacoli che alternano linguaggi di ricerca e proposte più popolari, quest’anno c’è poi la grande novità del progetto quadriennale europeo Be SpectACTive!, del quale Kilowatt è capofila con il Comune di Sansepolcro. Uno sguardo lungimirante, dunque, quello del festival toscano, che con una coraggiosa scelta di politica culturale continua a intervenire e mettere in discussione i consueti schemi del rapporto tra il sistema dello spettacolo e il pubblico. Come attivare fasce di spettatori generalmente indifferenti alle proposte della scena contemporanea? Come far crescere una domanda qualificata di spettacolo dal vivo? Come approfondire il rapporto tra spettatori e artisti anche nella creazione e nella produzione di spettacoli? Questioni al centro anche del convegno internazionale sulla “active spectatorship” ospitato dal festival.

"Denuded", coreografia di Bruno Isakovic

“Denuded”, coreografia di Bruno Isakovic

Quanto alle proposte artistiche, nei primi giorni del festival abbiamo visto le potenzialità ma anche i limiti di creazioni programmaticamente orientate alla relazione con il pubblico. L’idea del coreografo croato Bruno Isakovic, per esempio, è affascinante e senz’altro attraente, ma la concretezza dell’azione scenica è risultata prevedibile e, paradossalmente, chiusa in sé, nella propria rappresentazione. In Denuded, in prima assoluta dopo due settimane di residenza a Sansepolcro, gli undici danzatori nudi sul palco del Teatro alla Misericordia sono esposti allo sguardo dello spettatore in un lungo, lentissimo esercizio di scomposizione di linee di forza, di variazione di tensioni, fulcri, equilibri instabili. Nel groviglio di membra talvolta sembrano emergere posture e prossemiche tratte dall’iconografia manierista (ma bisogna dimenticare Bill Viola o Virgilio Sieni), talaltra pare di riconoscere la decostruzione di sequenze di danza classiche. Fasi di tensione, singole o collettive, si alternano a fasi di decompressione, sempre regolate nell’intimità dei respiri – ritmici, forzati, trattenuti – che espongono i ventri, gonfiano le gabbie toraciche, arrossano i volti, dilatano i corpi, li afflosciano. Difficile valutare la reale interazione tra spettatore e performer, il grado di fiducia tra chi agisce e chi guarda, la reciprocità nella trasformazione. La fragilità dell’essere che lo spettacolo intenderebbe indagare emerge piuttosto nelle tracce di sudore lasciate a terra dai corpi. Una sorta di involontaria quanto effimera action painting umorale.

Michal Zahora in "Devoid"

Michal Zahora in “Devoid”

Più interessante il progetto di Michal Zahora intolato Devoid, anch’esso in prima assoluta. Uno spettacolo elaborato nel corso di due residenze artistiche (al festival di Sibiu, in Romania, e a Kilowatt, dove in aprile il danzatore e coreografo ceco ha lavorato con 14 abitanti) ma anche sfruttando lo scambio tra artista e spettatori/navigatori della rete attraverso la piattaforma online per la video-danza inclusa nel progetto di Be SpectACTive! Zahora ha caricato per mesi i vari materiali cross-mediali che hanno nutrito il suo processo creativo, testi, immagini, video di prove, interagendo con gli spettatori e raccogliendo i loro punti di vista in forma laboratoriale. La drammaturgia è costruita su materiali autentici, reali scambi epistolari di numerose persone intrecciati in modo da far emergere l’esperienza, comune a tuti gli esseri umani, del sentimento di una profonda mancanza. Non senza rischiare un certo didascalismo, Zahora danza questo mood con coerenza di sviluppo e con una spiccata sensibilità cinematografica del montaggio coreografico, di immediata presa emotiva. Sfrutta e supera le formule di pathos con una leggerezza cui non è evidentemente estranea la formazione duncaniana. Impastandosi alle musiche di Bach e ai paesaggi sonori di Carlo Natoli, i testi registrati in inglese offrono al performer una traccia narrativa che, desemantizzandosi, può divenire puro ritmo interiore. La forza dello spettacolo sta in questa empatia, nella capacità di fare intimamente propria una storia inventata sulle altrui storie vere, fondare su dati biografici concreti (la perdita di una persona cara, l’assenza, il vuoto, la lontananza) l’universalità di un discorso creativo coinvolgente e toccante. Danzare un sentimento anche restandosene coricati, voltando le spalle al pubblico, raggomitolandosi sulla soglia dell’ombra, agitando i pugni chiusi della disperazione, trovando la semplicità del gesto più sconsolato e arreso.

Michail Zahora in "Devoid"

Michail Zahora in “Devoid”




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