Teatri, festival e compagnie, perché non adottate un critico? (e lo pagate…)

L'intervista di Tommaso Chimenti per Dioniso e la nuvola

Pubblicato il 29/06/2017 / di / ateatro n. 162

Questa intervista è parte integrante del progetto Dioniso e la nuvola. L’informazione e la critica teatrale in rete: nuovi sguardi, nuove forme, nuovi pubblici. Alla base del volume edito da FrancoAngeli c’è una serie di interviste a giovani critici teatrali, realizzate da Giulia Alonzo, disponibili su ateatro.it alla pagina https://www.ateatro.it/webzine/dioniso-e-la-nuvola/.

Tommaso Chimenti è nato il 12 aprile 1973 a Firenze, laureato in Scienze Politiche alla Cesare Alfieri di Firenze. Giornalista pubblicista e critico teatrale. Ha scritto per “Il Corriere di Firenze”, “Metropoli”, “Il Firenze”, “Metropoli Day”, “La Piazza”, “Casa Dove”, “Qui Firenze”, “Portale Giovani del Comune di Firenze”, “Il Fatto Quotidiano”, “Hystrio”, i mensili fiorentini “Ambasciata Teatrale”, “Lungarno”, “Il Teatro e il Mondo” e per la rivista della Biennale Teatro di Venezia nel 2011 e 2012. Ha collaborato con succoacido.it, scanner.it, corrierenazionale.it, rumorscena.com, Erodoto 108, recensito.net. Oggi ha un suo blog all’interno della testata on line del “Fatto Quotidiano”: ilfattoquotidiano.it/blog/tchimenti.
É giurato per il Premio Ubu e per il Premio Eolo. È membro dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, dell’Association Internationale des Critiques de Thèatre, di Rete Critica e dell’Assemblea dei Volanti. Finalista nel 2008 per il Concorso per Giovani Critici “Lettera 22” all’interno del ”Napoli Italia Festival”.
Ha pubblicato, con la casa editrice Titivillus, il volume Mare, Marmo, Memoria sull’attrice Elisabetta Salvatori.

Chi è Tommaso e come arriva al teatro?

Tommaso Chimenti

La strada di casa mia arriva direttamente al Teatro della Limonaia. Erano gli anni di Barbara Nativi, di quegli Intercity dove ti potevi trovare accanto a Franco Quadri come a Rodrigo Garcia. C’era un fermento particolare in quel contesto, ed io ne assaggiavo un po’ alla volta, da studente universitario limando il mio gusto e scoprendo man mano le differenze tra questo modo di fare e intendere il teatro e quello delle poltrone di velluto rosso. La spinta finale alla mia voglia di entrare in questo mondo misterioso dove un sipario nasconde e racchiude un universo imperscrutabile, talmente metaforico che riesce a spiegarmi l’oggi e la mia realtà, l’ha data Massimo Marino con un suo corso al Teatro Studio di Scandicci dove ho, ed abbiamo, avuto la fortuna e la possibilità di seguire gli spettacoli della stagione, di parlarne con i protagonisti, di confrontarci sui temi, sulle scelte della scena, di scriverne.

Nel tuo lavoro per “il Fatto”, che rapporto c’è tra la attività per la carta e quella per il blog/rete?

Devo premettere che la mia attività di critico, o meglio, giornalista teatrale, arriva da lontano ed è stata un’aggiunta continua. Partendo da un settimanale fiorentino, passando poi al “Corriere di Firenze”. Allo stesso tempo, erano i primi anni 2000, riconobbi nel web la grande opportunità di scrivere recensioni sugli spettacoli che vedevo, pezzi lunghi o ispirati nei quali si poteva sperimentare un linguaggio, una forma, uno stile. Ecco, la possibilità di scrivere di teatro sul web, e l’ho fatto tra gli altri sui siti succoacido.net, scanner.it, rumorscena.com, corrierenazionale.it, adesso su ilfattoquotidiano.it e recensito.net, mi ha dato modo di affinare, correggere il tiro, provare: per me è stata una grande palestra continua dove mettersi alla prova. In questo solco, riconosco molta differenza tra la carta stampata e il web, nel mio specifico caso per taglio, impostazione, scelta degli argomenti, lunghezza. Partendo dal presupposto che i due diversi formati, Il Fatto Quotidiano e ilfattoquotidiano.it, abbiano due redazioni distinte e differenti, potrei dire che la scelta principe sta nell’attualità, nel tema pressante nel primo caso, mentre nel secondo, essendo appunto un blog supportato e certificato dalla testata cartacea comunque, permette più libertà, stilistiche come dicevo poc’anzi, contenutistiche, formali.

Chi è il critico oggi? Che ruolo ha?

L’era 2.0 ha fatto da un lato bene all’attività dei critici dando la possibilità a molti giovani di entrare in questo settore che pareva chiuso ermeticamente all’esterno dai grandi giornali, dall’altro ha dato l’opportunità a tutti, a chiunque abbia un pc ed una connessione internet, di dire la propria su qualsiasi cosa che gli giri intorno. In questo senso le parole “accreditamento” e “credibilità” sono sempre più al centro del discorso teatrale. Chi è il critico oggi, mi chiedi. Potrei risponderti: una persona che ha competenze in materia e che contestualmente vede, gira, va, è curioso e incuriosito, conosce il mondo teatrale che si muove, nasce e cresce nel sottobosco. Ma non basta, certamente. C’è chi afferma che c’è posto per tutti, chi dice, al contrario, che non c’è più posto per nessuno. Cercarsi un posto al sole molte volte significa scendere a patti con enti e istituzioni o strutture e quindi il ruolo del critico, che dovrebbe essere autonomo, libero ed indipendente, viene meno. Il ruolo del critico, oggi come ieri, dovrebbe avere la funzione di portare a conoscenza di fenomeni, di segnalare movimenti, di certificare operazioni, ma anche di riuscire a cercare codici leggibili per sezionare, analizzare, verificare un’opera. Questo non significa mettere il pollice in alto o verso, i voti o i punteggi a fine articolo, le faccine sorridenti o deluse, oppure dire al pubblico andate o non andateci, o ancora la vecchia, e inutile, dicotomia tra il “mi piace” o il “non mi piace”. Dovrebbe avere la funzione da una parte di accompagnamento per il pubblico, anche nel raccontare genesi e processi che stanno dietro un’opera d’arte, dall’altra di confronto, più o meno vicina e militante, con un occhio interno ed un piede fuori, con le compagnie stesse. Quindi abolire la definizione di “stroncatura”. La critica deve sempre riconoscere le ombre, le fratture, le crepe, così come deve sempre essere costruttiva e “politica” in senso lato ed alto del termine.

Fenomeni wikipedia e tripadvisor. tutti possono essere critici e scrivere e giudicare sul web. Che autorità ha oggi il critico? Da chi viene letto? E per chi scrive?

Certo, tutti possono essere critici, come tutti, quando ci sono i Mondiali di calcio, diventiamo allenatori della Nazionale. Il rapporto è un po’ lo stesso. Molte volte il punto focale e lo snodo è proprio la credibilità che deve essere affiancata necessariamente da una giusta comunicazione all’esterno della propria attività. E’ indubbio che la critica miri ad un pubblico già formato e di nicchia, che già, in qualche modo, conosca la materia della quale si sta parlando. Certo, senza dare niente per scontato e, allo stesso tempo, senza didascalicamente ogni volta ripercorrere tappe, appuntamenti e spiegazioni di processi. Il critico, come il giornalista, dovrebbe riuscire a dare una chiave di lettura, una possibile visione del complesso, riuscendo da un lato a frazionarla e segmentarla, dall’altra a dare un quadro unitario soprattutto per quanto riguarda le idee che ne stanno alla base, alla genesi, all’urgenza, al pensiero dell’autore, al pensiero che si fa messinscena.

Sul web un nome è uguale all’altro o il pubblico riesce a distinguere chi scrive?

Il pubblico, sul web o sulla carta, soprattutto in un settore giornalistico così numericamente minuto come quello della critica teatrale, non è così qualunquista come si pensi. Riconosce la bontà e la validità di percorsi e scelte, riconosce l’affidabilità del pezzo che sta leggendo in relazione a tutti quelli precedenti e soprattutto riconosce un’idea, una coerenza, una strada intrapresa. Il lettore si vuole affidare, cerca riconoscibilità ma anche slancio, quindi, per rispondere alla tua domanda, un nome non è assolutamente uguale all’altro.

Se li ha persi, cosa deve fare la critica per riacquistare valore e autorità?

E’ indubbio che fino a qualche anno fa, non troppi, forse una quindicina, i grandi giornali, e di conseguenza le grandi firme per quanto riguardava la critica teatrale italiana, si contavano sulle dita di due mani o poco più. Questo numero, non esiguo o irrisorio ma comunque certificabile e più o meno standard, già portava con sé autorità e riconoscibilità e autorevolezza. Con l’esplosione di internet, e la conseguente democratizzazione dei contenuti che adesso potevano provenire anche “dal basso”, e la crisi della carta stampata si è avuta una parcellizzazione, una deflagrazione dei centri di pensiero. Per il pubblico è più difficile orientarsi in questo Mare Magnum della cultura, per chi la fa, o la vorrebbe proporre, è sempre più complicato uscire allo scoperto. Il problema dell’autorevolezza, e non autorità, è un doppio filo, da una parte ci deve essere chi propone ma dall’altra, è indubbio, ci deve essere un confronto costante, in un tiro alla fune, ora energico adesso elastico, con il possibile lettore. E senza il rimando e il rimbalzo con l’altro, la critica teatrale, soprattutto sul web, non può avere piglio e appeal per attrarre a sé sguardi e vicinanze.

Che differenza c’è nella critica tra web e carta stampata?

Per essere concisi, credo che le differenze più lampanti e tangibili possano riscontrarsi nella lunghezza, sul web si può tranquillamente “sforare” nello spazio virtuale, nello stile, che sul web può essere anche più quotidiano e “giovanilista” o slang, e soprattutto nella velocità d’esecuzione. Su internet i contenuti sono immediati, in presa diretta, quindi una foto su instagram, un commento su facebook o un tweet hanno nell’immediatezza, nel “qui ed ora”, nell’essere nel posto giusto al momento giusto, tutte quelle componenti che la carta stampata può sopperire solo con un’analisi più approfondita, più meditata e pensata.

Che rapporto deve avere con i teatranti?

Un mio collega, più anziano di me, sosteneva qualche anno fa che il critico deve vedere lo spettacolo, alzarsi e lasciare la platea. Io sostengo al contrario che, se di fondo esiste un’onestà intellettuale salda, che si possa e si debba, conoscere l’artista, la compagnia, vederlo all’opera in fase di produzione, parlarsi e scambiarsi durante la costruzione come a fine rappresentazione. Credo che l’importante non sia vedere l’ora di lavoro, certamente anche, frutto di mesi di fatica concettuale e strutturale, ma anche, sulla base della visione (perché comunque si parla di messinscena e quindi di realizzazione di idee) creare un terreno comune di scambio, condivisione, interrogativi, passaggi. L’essere “militante” – e qui rispondo anche alla questione “Cosa vuol dire per un critico sporcarsi le mani?” – non significa, almeno per quanto mi riguarda, stare dentro le compagnie, ma seguirne a stretto contatto crescita, sviluppo, percorso, cammino. L’occhio rimane quindi sempre distante, per avere una fotografia più completa e non sgranata dall’eccessiva vicinanza, ma gli strumenti e la conoscenza maggiore di tutto ciò che sta dietro e che precede quello che accadrà in scena sono fondamentali per riportare, descrivere, fare una narrazione più piena e densa in fase di scrittura ed in fase di recensione.

Che prospettive future ha la critica teatrale? Come si finanzia oggi la critica?

Qualche tempo fa, insieme alla collega Annamaria Monteverdi, lanciammo la provocazione “adotta un critico”. Ecco, provocazione fino ad un certo punto visto che i giornali chiudono, per mancanza di pubblicità e le sempre meno copie vendute, e il web che non paga o paga cifre irrisorie. Alcuni trovano vie ibride, se non ambigue, di collaborazione con alcuni gruppi pur continuando ad esercitare il loro diritto di critica verso tutti gli altri. Teorema nei confronti del quale io personalmente dissento. Se si è in qualche modo parte di un collettivo, anche in forma di collaborazione più o meno continua, una recensione che proviene da quel critico è come se avesse il marchio della compagnia per la quale lavora. E ce ne sono esempi in tal senso. Ma ritorniamo all’“adotta un critico”. Credo che ormai la cosa più importante sia raccontare i processi di creazione, e chi meglio di un giornalista-critico può farlo? Quindi, se vi sono le risorse per un ufficio stampa, non vedo perché non ce ne dovrebbero essere per una figura che, con occhio onesto, riesca a far passare, con un lavoro gomito a gomito, a stretto contatto con le visioni ed i componenti, informazioni, atmosfere, stati d’animo, e tutto quel magma che può rientrare dentro la parola “ricerca.

L’Associazione Nazionale dei Critici? Che ruolo ha?

Faccio parte da diversi anni dell’ANCT. Durante l’anno sono organizzati incontri, convegni e appuntamenti in tutta Italia ai quali l’associazione, adesso diretta da qualche anno da Giulio Baffi, dà patrocinio e moderatori. Credo che il punto più alto per ANCT, come per Rete Critica (i siti e blog che scrivono di teatro sul web), come per l’Ubu, sia il premio finale che certifica da una parte l’opera, dall’altra chi si riunisce e dà il riconoscimento. Quest’aspetto “glamour” è necessario a dare un cono di luce a tutta l’attività intercorsa durante l’anno. Il ruolo di tali associazioni è un tentativo di riunire sotto un’unica ala e sigla molte teste pensanti e singole, come quella di sostenere, abbeverare un dibattito pubblico che deve sempre essere sollecitato e solleticato”.

(dicembre 2015)




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