Brevi note sulla competenza di Stato e regioni (ed enti locali) in materia di spettacolo

Dossier Stato e Regioni nella promozione dello spettacolo dal vivo [6]

Qui di seguito l’intervento di Daniele Donati al pomeriggio di studio Stato e Regioni nella promozione dello spettacolo dal vivo (Bologna, 7 febbraio 2022) a cura della Associazione Culturale Ateatro ETS.

IL LINK: Il dossier Stato-Regioni 2022.

Fin dalla prima sistematizzazione legislativa e istituzionale dello spettacolo operata nel periodo fascista, il nostro ordinamento ha rincorso una definizione del ruolo delle istituzioni, le finalità ultime del loro intervento.
Di quella prima impostazione resta immutata solo l’assunzione dello spettacolo tra i merit goods, quei beni a cui si attribuisce un particolare valore in relazione allo sviluppo della collettività e che vengono quindi soddisfatti dall’operatore pubblico a prescindere dalla domanda, con conseguenze facilmente riscontrabili anche oggi sulle dinamiche di produzione, distribuzione e offerta al pubblico.

Daniele Donati

Nel nostro ordinamento democratico, archiviato l’interesse propagandistico del regime, si mostra comunque forte l’intento di favorire la creatività e di promuovere la conoscenza degli individui attraverso il sostegno a un settore privato specialissimo, dai caratteri incerti e da sempre in rapida evoluzione.
Ai sensi dell’art. 9 Cost. (come confermato da Corte cost. sentenza n. 307/2004) a questo compito sono tenuti tutti i livelli di governo. Rileva così sulla materia, e in maniera evidente, l’esigenza fortissima di un pluralismo che al contempo nega qualsiasi soluzione dirigistica dall’alto nelle politiche di settore (Corte cost. sentenza n. 307/2004). Ciò si traduce in precise indicazioni, ma anche in severi problemi nella definizione del ruolo rispettivo di Stato e regioni (ed enti locali).
La Costituzione nella sua prima redazione non prevedeva alcuna completezza in materia di spettacolo a carico della capacità legislativa regionale. Ad avanzare sono però le misure amministrative: il tema alla nostra attenzione inizia infatti a prendere corpo con il d.P.R. n. 616/1977 che, nel realizzare la prima ripartizione di competenze dopo l’istituzione delle regioni, pur avendo riconosciuto a favore degli enti territoriali consistenti funzioni sulle attività culturali (biblioteche e musei in particolare), non precisò i termini della competenza regionale e locale sullo spettacolo, in attesa di leggi di settore specifiche, mai intervenute.
Mentre lo Stato istituisce il FUS (1985) – segno di una certa volontà di non lasciare la materia del sostegno finanziario ad altri livelli di governo – le regioni fin dai loro primi Statuti si intestano comunque la promozione dello spettacolo, cui provvedono con interventi diretti (inventandosi enti, agenzie, commissioni) e indiretti (anche consistenti, quasi a far pari con l’impegno dello Stato).
La riforma costituzionale del 2001, nel modificare l’art. 117 comma 3 assegna finalmente la «promozione e organizzazione di attività culturali» alla competenza legislativa concorrente di Stato e regioni.
Il che significa – a mente della Costituzione stessa – che alle Regioni spetta la potestà legislativa, restando riservata allo Stato «la determinazione dei princìpi fondamentali».
In ambito culturale però le cose sono andate diversamente
Per i beni culturali, oltre all’incertezza del confine tra tutela (solo statale) e valorizzazione, si è ricorsi al criterio dominicale (non senza risultati discussi dalla stessa Cotre Cost. che quel criterio aveva posto)
Analogamente per lo spettacolo torna il criterio – già invocato negli anni dopo il 1977, e comunque vaghissimo – della dimensione dell’interesse culturale, geografico. E ciò, partendo dall’impostazione delle riforme Bassanini e in particolare dell’art. 153 (oggi abrogato) del D.lgs 112/98, che specificava come lo Stato, le regioni e gli enti locali dovessero provvedere, ciascuno nel proprio ambito, alla promozione delle attività culturali mediante forme di cooperazione strutturali e funzionali tra i diversi livelli di governo.
E poi precisando che le funzioni e i compiti di promozione comprendono in particolare le attività concernenti:
a) gli interventi di sostegno alle attività culturali mediante ausili finanziari, la predisposizione di strutture o la loro gestione;
b) l’organizzazione di iniziative dirette ad accrescere la conoscenza delle attività culturali ed a favorirne la migliore diffusione;
c) l’equilibrato sviluppo delle attività culturali tra le diverse aree territoriali;
d) l’organizzazione di iniziative dirette a favorire l’integrazione delle attività culturali con quelle relative alla istruzione scolastica e alla formazione professionale;
e) lo sviluppo delle nuove espressioni culturali ed artistiche e di quelle meno note, anche in relazione all’impiego di tecnologie in evoluzione.
Diversamente l’art. 156 determina quali siano i Compiti di rilievo nazionale in materia di spettacolo, che (omettendo le competenze in materia cinematografica) identifica in quattro ambiti:
# politica generale e territoriale
# la definizione degli indirizzi generali per il sostegno delle attività teatrali, musicali e di danza, secondo principi idonei a valorizzare la qualità e la progettualità
# la programmazione e promozione, unitamente alle regioni e agli enti locali, della presenza delle attività teatrali, musicali e di danza sul territorio, perseguendo obiettivi di equilibrio e omogeneità della diffusione della fruizione teatrale, musicale e di danza;
# la promozione della presenza della produzione nazionale di teatro, di musica e di danza all’estero, anche mediante iniziative di scambi e di ospitalità reciproche con altre nazioni.

Sostegno ai soggetti
# la garanzia del ruolo delle compagnie teatrali e di danza e delle istituzioni concertistico-orchestrali, favorendone, in collaborazione con le regioni e con gli enti locali, la promozione e la circolazione sul territorio;
# la definizione e il sostegno al ruolo delle istituzioni teatrali nazionali e degli enti lirici ed assimilati;
# la definizione, previa intesa con la Conferenza unificata, dei requisiti della formazione del personale artistico e tecnico dei teatri.

Sostegno alle attività
# il contributo alla produzione teatrale, musicale e di danza nazionale, con particolare riferimento alla produzione contemporanea;
# la preservazione e l’incentivazione della rappresentazione del repertorio classico del teatro greco-romano in coordinamento con la fondazione “Istituto nazionale per il dramma antico”;
# la promozione delle forme di ricerca e sperimentazione teatrale, musicale e di danza e di rinnovo dei linguaggi.

Diffusione e conservazione
# la promozione della formazione di una videoteca, al fine di conservare la memoria visiva delle attività teatrali, musicali e di danza;
# la definizione degli indirizzi per la presenza del teatro, della musica, della danza e del cinema nelle scuole e nelle università.

Per parte sua l’attività legislativa conseguente alla riforma sembra muovere su questa medesima direttiva, non guidando, bensì adattandosi alla constatazione del riparto “geografico” sul piano amministrativo.
È dunque di qualche difficoltà oggi tracciare una linea di demarcazione che consenta di identificare con buona certezza le rispettive competenze legislative dello Stato e, soprattutto, ai nostri fini, delle regioni, laddove il ricordato criterio principi/norme attuative sembra qui non trovare giusta applicazione.
Su questo quadro incerto interviene la Corte costituzionale, con le sent. 255 e 256/2004, affermando innanzitutto che lo spettacolo, pur non essendo espressamente citato all’interno del nuovo art. 117 Cost., è da ricondursi alla “promozione ed organizzazione di attività culturali”, e non è materia residuale interamente rimessa alla legislazione delle regioni. Smentendo il criterio storico-normativo, si afferma poi che non ha alcuna rilevanza quanto avvenuto prima della riforma, e che la collocazione dello spettacolo nella sfera delle competenze concorrenti rappresenta un accrescimento del ruolo regionale, «dato che incide non solo su importanti e differenziati settori produttivi riconducibili alla cosiddetta industria culturale, ma anche su antiche e consolidate istituzioni culturali pubbliche o private operanti nel settore».
Qual è il risultato?
Lo Stato, oltre a mostrare ancora una presenza forte, rassicurante ma invadente, nel sostegno sempre più indiretto e legato a criteri oggettivati, esercita la propria competenza su materie strettamente collegate, come la tutela della proprietà intellettuale, la disciplina del lavoro e la concorrenza.
Per parte regionale, si continua in forma differenziata (come vedremo) con norme che di volta in volta danno vita a organismi di promozione sul territorio, o a misure di sostegno, con frequenti correlazioni con altre materie come il turismo, o il welfare.
E gli enti locali (i comuni in particolare) propongono azioni di incentivazione alla produzione e di diffusione dell’offerta con strumentazione spesso precaria e risorse limitate.

Due sole note, a conclusione, e in attesa dell’arrivo del Codice dello Spettacolo.
Il pluralismo che la Costituzione impone non comporta che in materia possa ammettersi un’assoluta deregolazione, quel “liberi tutti” che ha portato a sprechi, ridondanze, complicazioni burocratiche insuperabili per gli operatori di settore. E a una fiera delle vanità in cui tutti – Stato, regioni e comuni – altro non fanno se non vantare i propri (comunque limitati) successi, perdendo di vista, nella propria affermazione, capacità di innovazione
Ma pesa anche sulla materia la quasi naturale anarchia di un settore comunque privato, a metà tra industria e artigianato, tra mercato e welfare, che almeno fino alla pandemia si è pochissimo strutturato preferendo mantenere un’incertezza rassicurante ma ben poco costruttiva.
Resta, come chiede la Corte costituzionale, l’esigenza di iter decisionali e gestionali che, in applicazione del principio di leale cooperazione, prevedano il ricorso a strumenti di concertazione paritaria fra Stato e regioni. Una soluzione procedimentale e per progetti quindi, e non strutturale o organizzativa, che invece – mi pare – sia ciò si tenta di perseguire.
Il dopo pandemia, nel vuoto che ha creato, dovrebbe allora essere tempo di raccordi e collaborazioni, di garanzie e di incentivi a queste legati. Di sincronia e non di improvvisazione.




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