#specialeRoma. Un progetto per la città e per il teatro

L'intervento alla presentazione della stagione 2014-15 del Teatro di Roma

Pubblicato il 11/07/2014 / di / ateatro n. 150

Roma, 8 luglio 2014

Illustre Sindaco Marino,
Illustre Assessore Ravera,
Illustri rappresentanti della Provincia di Roma e del Mibact,
Gentili Ospiti, Colleghi, Giornalisti,

saluto con piacere anche due ex direttori di questo teatro: Giorgio Albertazzi e Giovanna Marinelli,

è arrivato il giorno della presentazione della prima stagione della mia direzione e delle linee guida del quadriennio. Sono nuovamente a ringraziare di avermi offerto l’opportunità e l’onore di condurre questo prestigioso Teatro dalla storia ricca di periodi d’eccellenza ma anche ferita da momenti critici.

E’ mio dovere, qui, subito, ringraziare inoltre, e mi scuso sin da ora se dimentico qualcuno: Flavia Barca, ex Assessore alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica di Roma Capitale; Lidia Ravera, Assessore alla Cultura e Politiche Giovanili della Regione Lazio; Cristina Selloni, già Direttore Dipartimento Cultura di Roma Capitale; il Capo di Gabinetto del Sindaco Luigi Fucito; la presidente della Commissione Cultura Michela Di Biase; il presidente della Commissione Bilancio Alfredo Ferrari e tutti i consiglieri comunali che tengono a cuore le sorti di questa Istituzione e della cultura tutta; il Prefetto Riccardo Carpino, Commissario Straordinario della Provincia di Roma; Claudio Parisi Presicce, Sovraintendente ai Beni Culturali di Roma Capitale e i suoi collaboratori, Francesco Giovannetti e Andrea Borghi, insieme agli architetti Ugo Colombari e Giuseppe De Boni, coi quali stiamo seguendo il cantiere del Teatro India.

Il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini e il Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo Salvo Nastasi.

Ringrazio il Consiglio di Amministrazione che mi ha individuato quale nuovo direttore: il presidente Marino Sinibaldi, i consiglieri Nicola Fano, Carlotta Garlanda, Mercedes Giovinazzo, Francesco Saverio Marini, insieme al Collegio dei Revisori dei Conti: il presidente Giuseppe Signoriello, con Giorgio Bovi e Giovanni Piazzolla. Rappresentano, insieme, una squadra di professionisti con i quali mi confronto costantemente e con i quali condivido questo progetto; e con loro, Mariella Paganini.

Ringrazio le maestranze tutte di questa impresa culturale dove già si lavora e si lavorerà a ritmi serrati con rinnovata passione e rigore: Paola Macchi, mio braccio destro, Monica Pescosolido, la mia segretaria, i capiarea Antonia Ammirati con Amelia Realino; Floriana Pistoni con Silvia Cabasino e Giovanni Galletti; Carolina Pisegna con Walter Marsili; Paola Folchitto con Cristina Pilo, Maria Rosaria Russo e Roberta Urbani; Sandro Piccioni con Giorgio Lourier e Laura Taramelli; Patrizia Babusci con Gregorio Clementini, Laura Ferrazza, Daniela Lancia, Luciana Liberatore e Rita Milone; Enrico Olla con Roberto Maria Capilupi, Ombretta Conte e Maurizio Todaro; Giovanni Santolamazza con Marcello Aiello, Claudio Beccaria, Antonio Borrelli, Andrea Brachetti, Dario Ciattaglia, Vincenzo Lazzaro, Marco Maione, Massimo Munalli, Sandro Pasquini, Massimiliano Pischedda e Alessandro Sorrenti; Piero Balistreri con Ester Albanese, Federica Cimmino, Claudia Consorti, Catia Fauci, Barbara Palombi, Giuseppe Sublime e Marco Venturi; Mauro Fiore; Giulia Giannoni. Insieme a Fabrizio Arcuri, Anthony Majanlahti, Lorenzo Letizia.

Infine, un pensiero di affetto e riconoscenza a Ninni Cutaia, per i “semi” che nei due mesi della sua direzione ha piantato cui ho prestato cura e spero di far germogliare al meglio.

La conduzione del Teatro di Roma, a cui vorrei aggiungere il termine Capitale, si è rivelata sin dalla mia nomina, il 6 maggio scorso, una sfida enorme e complessa, per una molteplicità di motivi, che non è il caso, qui, di elencare: è quasi impossibile costruire una stagione in due mesi quando le programmazioni di tutti gli altri teatri sono state già predisposte e presentate.

Perseguire questa sfida, cambiandola da criticità in rilancio, in ricostruzione, in una vera e propria Rinascita, come ha scritto Franco Cordelli lo scorso 1° luglio, sul Corriere della Sera, emozionandomi, mi inorgoglisce e mi tempra e carbura ancor più di quanto io non lo sia in genere.

Stiamo vivendo un tempo critico a molti livelli, per la nostra Città Capitale, per la nostra Nazione e per l’Unione intera.

Il recente passaggio di testimone del Semestre Europeo fra Grecia e Italia – le nazioni che hanno donato all’Unione ricche e solide fondamenta culturali – riverbera di un significato speciale. Il semestre italiano rappresenta un’occasione fondamentale per ribadire all’Unione che la cultura, le arti, i saperi, la conoscenza, la ricerca, rappresentano il cuore palpitante del nostro continente e il nostro futuro.

Sono convinto che, nonostante il crollo di sistemi economici usurati e non più funzionali, nonostante i nuovi rigori economici che stanno mettendo a dura prova anche le arti e le diverse forme dell’ingegno e della creatività, esse non si piegheranno.

In una recente intervista, su La Lettura del Corriere della Sera del 29 giugno, l’artista tedesco Wim Wenders rispondeva: “Gli artisti non devono mai accettare e tollerare quel che accade. Ma devono insegnare a vedere; affrontare il mondo con serietà. Non possono limitarsi ad accogliere la spazzatura che ci circonda. Hanno l’obbligo di scegliere: lasciarsi inquinare o trovare alternative etiche. E’ allora che scatta la risposta dei nostri occhi e della nostra mente. Un film, una fotografia o un quadro possono guarire l’anima spezzata. E’ questa la nostra responsabilità come artisti: non rinunciare mai. Ma proteggerci dal cinismo dominante. Smascherare i trucchi nascosti dietro la valanga di cose false che ci assediano. E dare spazio a immagini diverse”.

Ecco: vorremmo che questo Teatro diventasse la “casa” di artisti con questo coraggio, questa lucidità, questa filosofia.

E aggiungo, prendendo in prestito dal recente Manifesto convivialista firmato da pensatori come Edgar Morin, Elena Pulcini, Serge Latouche e altri, che ripartono dal celebre Saggio sul dono di Marcel Mauss, scritto 90 anni fa: “Se niente viene fatto per senso del dovere, per solidarietà o per il gusto di un lavoro ben fatto e il desiderio di creare, allora restano soltanto motivazioni come il guadagno e la promozione gerarchica”.

Siamo in un teatro, luogo che le comunità degli uomini hanno inventato per realizzarvi un rito del tutto originale: un rito laico in un tempio laico, dove riunirsi per vedere su di un palcoscenico com’è fatta veramente la vita e per sfiorare, attraverso la creatività, l’insondabile, ovvero ciò che la scienza e i saperi oggettivi non potranno mai svelarci completamente, ovvero il mistero più profondo dell’esistenza.

La vita è fatta, dunque, anche di poesia, arte, invenzione; e il teatro, le altre arti, le contiene tutte.

Non è un caso che le forme dei parlamenti democratici sono mutuate proprio dalla conformazione dei teatri antichi, veri e propri “parlamenti sociali”, ieri come oggi.
Un teatro reclama di essere abitato da artisti e spettatori, altrimenti sarebbe un involucro privo di senso. Un teatro vuoto è come una fontana dalla quale non fluisce più acqua. E ringrazio il mio compagno Anthony Majanlahti che mi ha donato questa frase così bella.
E’ proprio nei teatri che si dissolve, quasi in modo naturale, il muro fra privato e pubblico. Ecco perché l’istituzione Teatro è così potente, ecco perché essa è resistita fino a oggi.

Illustre Sindaco Marino, Roma è una città unica al mondo e dunque difficile da governare. Qualcuno mi ha messo in guardia nell’accogliere l’invito a guidare un Teatro considerato “difficile”, in un momento critico per la Città e per il Paese.

E invece ho scelto di provare a dare il mio contributo affinché anche dal Teatro Argentina si avviasse un nuovo ciclo di vivacità creativa e di riscatto culturale di Roma. E sono fortemente convinto che sia proprio dall’arte sociale per eccellenza, l’arte della scena, della condivisione, che questo processo di ricostruzione e di riscatto debba partire, crescere, trascinando con sé tutti gli altri ambiti della cultura e della conoscenza.
E non può che cominciare a farlo il teatro pubblico della città, il Teatro della Capitale della Nazione. Confidando che i teatri in città si ricompongano in un vero e proprio sistema, dove abbiano un ruolo tanto i teatri a vocazione pubblica tanto i teatri privati, a condizione che tutti ritrovino nuove missioni e disegnino nuove strade da percorrere.

Mi considero un direttore lavoratore e insieme alle maestranze di questa istituzione vogliamo contare con forza e determinazione nel processo di Rinascita che deve cominciare prima possibile, anzi che è già in atto, mi verrebbe da dire.
“Preferisco essere un sognatore tra i più umili, con visioni da realizzare, piuttosto che il principe di un popolo senza sogni né desideri”, scrive il poeta, filosofo e scrittore libanese Kahlil Gibran.
Noi, qui, saremo guidati da queste parole: passione, competenza, professionalità, rigore, etica, senso di responsabilità, un pizzico di sana ambizione e una necessaria visione del conteso più generale. Rappresentano i “mattoncini” per costruire una nuova prospettiva, un nuovo futuro, certi di poter contare con rinnovata fiducia nell’articolo 9 della Carta Costituzionale: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Promuovere e tutelare sono parole forti, chiare, che debbono anche esse farci da guida.

Illustre Sindaco Marino, Illustre Assessore Ravera, Illustre Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo Nastasi, Roma è una città che deve tornare a essere protagonista nella geografia italiana e mondiale, su più piani, a partire dalla sua identità più forte: quella di una cultura plurimillenaria, straordinaria e potentissima, che deve continuare a rigenerarsi. Roma non può essere solo identificata in un museo a cielo aperto, grazie alla sua storia che compone un paesaggio archeologico vasto e affascinante. Dobbiamo ambire a entrare a far parte del consesso delle Capitali della Cultura e delle Arti Contemporanee.

Come sapete, abbiamo avviato il nuovo ciclo del Teatro di Roma Capitale lunedì scorso, 30 giugno, con un “Prologo d’amore e d’arte per l’Italia Europea”, e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ci ha onorato della Sua presenza: è stato, ed è, per noi tutti motivo di speranza per quello che potrà accadere di costruttivo, vitale, forte per la nostra società e il nostro Paese, a partire dalla importante occasione del Semestre Europeo a guida italiana appena cominciato.

Questo è un luogo teatrale che ha oltre duemila anni di storia. Sotto i nostri piedi ci sono i resti del Teatro di Pompeo. Fu proprio ai piedi della statua monumentale di Pompeo, che Cesare fu assassinato. Questo teatro è dunque carico di storia più di ogni altro e io ne sento il peso.
Qui sotto è sopravvissuto un pezzo di una colonna del Teatro di Pompeo, il primo teatro in pietra dell’antica Roma. Ieri l’ho raccontato al maestro filosofo Haim Baharier, che mi ha fatto visita e ci ha proposto un ciclo di tre lezioni sul perché bisogna andare a teatro, perché leggere un libro o ascoltare un concerto, e mi ha detto questo: in ebraico AMD (Amud) significa colonna; ma delle stesse lettere e vocali sono composte altre parole sorelle: MDA (Madà) significa conoscenza; DMA (Demà) significa lacrima. Conoscenza è il sapere, lacrima è l’emozione. Dunque quella colonna del Teatro di Pompeo piò significare il senso pieno del teatro: la verità delle emozioni, questo è il teatro.

Al mio arrivo ho trovato un Teatro in condizioni precarie e con molti nodi da sciogliere – non è affatto una critica a coloro che mi hanno preceduto –, ma sapete bene che dall’autunno scorso, e dunque da molti mesi, il Teatro ha vissuto una delle pagine più difficili della Sua storia.

Le linee che guideranno il quadrienno della mia direzione e del nostro lavoro comune saranno le seguenti:

1. Ricostruire l’identità culturale e artistica del Teatro, in senso originale e adeguata al presente.

2. Dargli forma di impresa culturale, migliorando la produttività a più livelli, con collaborazioni e sinergie con altre istituzioni e partner, anche internazionali, in una prospettiva a medio-lungo temine.

3. Avviare una gestione nuova, sostenibile e in sicurezza sul piano economico e finanziario, e dunque contenere i costi e aumentare i ricavi, attrarre partner privati, allargare il numero di spettatori – che debbono diventare i nostri primi “azionisti” –, articolare i fronti operativi (che la struttura della “stagione a progetti” consente).

4. Rigenerare e rimotivare il personale del Teatro, da tempo sofferente, anche ma non solo per via dei frequenti cambi di direzione.

5. Costruire stagioni di progetti e non di cartelloni ordinari, contenendo la pratica degli scambi. “Costruire” e “lavorare” sono le parole chiave del nostro futuro percorso: ecco perché ho scelto il termine “Cantiere” per questa stagione.

6. Restituire il Teatro alla Città, aprendolo per davvero, renderlo anche più visibile all’esterno (sto già operando in tal senso con la Sovraintendenza Capitolina) e farne un punto di riferimento forte e imprescindibile, nonché uno dei motori della rinascita culturale e civile di Roma Capitale.

7. Aprire il Teatro dodici mesi l’anno, a tutti i cittadini di ogni generazione, estrazione sociale, cultura, religione, nazione: la stagione che abbiamo costruito si apre il prossimo metà settembre e si completerà a metà settembre 2015.

8. Accogliere in Teatro tutte le arti e le forme del sapere e della conoscenza: sarà un tempio laico della pluridisciplinarietà. Il Nobile Teatro Argentina è stato concepito in tal senso sin dagli esordi e bene lo dichiara l’iscrizione sul suo frontone: Euterpe, colei che rallegra, la Poesia lirica, con un flauto; Melpomene, colei che canta, la Tragedia, con una maschera, una spada e il bastone di Eracle; Tersicore, colei che si diletta nella Danza, con plettro e lira.

9. Innovare nel rispetto della migliore tradizione: il Teatro, oggi, non sopporta più etichette e divisioni fra antico e contemporaneo, tradizione e sperimentazione (sono parole usurate e soprattutto superate dalla realtà): il teatro semplicemente è o non è, parla o è afono, produce esperienza, senso, emozioni, pensieri o rimane celibe, frigido. Quest’ultima condizione rappresenta per me un “delitto”, una “sconfitta” del teatro stesso.

10. Il nostro Teatro sarà plurale: accoglierà il lavoro e la ricerca di un grande Maestro della scena internazionale, Peter Stein, accanto a quella di artisti dell’età di mezzo e di nuovi talenti, che vorremo contribuire a scoprire e sostenere.

Questi dieci punti rappresentano le linee guida di un progetto ambizioso e senza dubbio complesso: sono consapevole che la sfida che abbiamo davanti potrebbe non essere vinta o vinta solo in parte.
Ma è nostro dovere provarci: in quanto ente pubblico e in quanto la Città e la Nazione lo richiedono.
Non è più possibile procrastinare il cambiamento che il nostro tempo reclama: il Teatro, in particolare, non può non vibrare delle istanze del presente; il suo senso autentico e pieno rigetta la riduzione a “museo” – il Teatro è arte vivente, ricordiamocelo sempre; esso rigetta con forza la sua riduzione a “casa vuota”: di “senso”, di “artisti”, di “spettatori”.

Per quanto riguarda le risorse economiche, confido di rimettere in sesto una macchina operativa – e ringrazio sin da ora i colleghi tutti che vorranno condividere questa comune, necessaria rigenerazione – che possa migliorare la produttività, aumentare i ricavi, riconquistare pubblico, attrarre partner privati.
Confido nel recupero, almeno in parte, dei tagli ai contributi storici da parte dei nostri soci fondatori, convincendoli che questa Istituzione necessita di investimenti per poter ambire al riconoscimento di Teatro Nazionale: e deve esserlo sul piano sostanziale oltre che sul piano formale.
Confido che il Mibact già dal prossimo anno – anno di avvio della tanto attesa riforma dell’intero sistema dello spettacolo dal vivo – promuova il Teatro di Roma Capitale a secondo teatro per entità del finanziamento pubblico dopo il Piccolo Teatro di Milano: oggi siamo al quarto posto.

Così come siamo convinti nell’ascolto da parte dell’assessore alla cultura della Regione Lazio Lidia Ravera, la quale sta svolgendo, a mio sentire, uno straordinario lavoro di rilancio dell’intero Lazio dell’arte e della cultura.

Per quanto riguarda il Campidoglio, il taglio deve essere almeno in parte ripristinato. Ne abbiamo discusso con il Capo di Gabinetto Fucito, e abbiamo richiesto una audizione in Commissione congiunta Bilancio-Cultura, dove le nostre arringhe, mia e del presidente Sinibaldi, hanno fatto sì che i presidenti delle due commissioni, Michela Di Biase e Alfredo Ferrari, e i consiglieri presenti di maggioranza e opposizione, si impegnassero all’unanimità a predisporre un emendamento a favore del Teatro di Roma Capitale.
Rinnovo il mio personale ringraziamento a Michela Di Biase, per quello il suo lavoro e per le sue battaglie.

Conto di creare una piccola unità interna, supportata anche da collaboratori esterni, e di impegnarmi in prima persona nella ricerca di partner privati: i progetti speciali messi in Cantiere debbono in prospettiva essere finanziati da risorse diverse da quelle pubbliche.

Flaiano annotava che “si viene a Roma in cerca di lavoro e si trova un impiego”: e invece è venuto il tempo che una nuova filosofia e un nuovo modo di essere contagi tutti i cittadini della Capitale. Basta lamentarsi. E’ il tempo del lavoro, del fare, del costruire.

Ma veniamo, in estrema sintesi, alle novità e al progetto. Innanzitutto il titolo della stagione e l’immagine che evoca.

Cantiere.Roma.Italia esplicita un lavoro aperto, in corso, in divenire; un “lavoro” appunto, termine che rimanda a un Teatro che vuole farsi produttivo al massimo, un “cantiere” di lavoro dedicato in primis, quest’anno, a Roma e all’Italia, i cui destini sono fortemente intrecciati. Riporta la quarta di copertina dal libro Contro Roma che l’attrice Carla Chiarelli mi ha fatto riscoprire, pubblicato nel 1975: “E’ Roma che ha fatto governare l’Italia nel modo che sappiamo o è quel modo di governare che ha dato a Roma la faccia che ha?”.

1. La prima grande novità è quella della creazione di una “compagnia in residenza”, composta di otto attori; compagnia che sarà implementata da altri interpreti in base ai piani produttivi e ai progetti artistici. Essa lavorerà dodici mesi l’anno, impegnata quotidianamente in palcoscenico la sera e di giorno nelle prove dei nuovi spettacoli. E sono: Alessandro Averone, Maddalena Crippa, Gianluigi Fogacci, Paolo Graziosi, Pia Lanciotti, Andrea Nicolini, Graziano Piazza, Elia Schilton.

2. La seconda novità è la creazione di un percorso prospettico, dunque di quattro anni, la durata del mio mandato, con uno dei Maestri della scena europea: il regista tedesco Peter Stein, che ha scelto come seconda patria proprio l’Italia. Il nucleo della compagnia residente è stato da lui indicato ed è già assai stretto il rapporto fra regista e interpreti. Ma la compagnia in residenza potrà lavorare anche con altri registi e ad altri progetti.

1. Il Teatro di Roma non sarà però il teatro soltanto di questo grande regista: sarà un teatro plurale che opererà per progetti, seguendo ulteriori “prospettive” e percorsi tematici costruiti insieme ad altri artisti.

Di seguito quelli che caratterizzeranno la prossima stagione e i prossimi dodici mesi.

CANTIERE.ROMA.ITALIA
Una stagione di progetti

Prospettiva Stein
Prospettiva Roma
Ritratto di una Capitale
Creazioni di artisti e compagnie di Roma
Contro Roma
Shakespeare alla Nuova Italiana
Roma per Eduardo
Roma per Pasolini
Roma Europea
Piccoli indiani (la stagione per i piccoli spettatori)
Scritture del presente: un trittico di inediti e una riscoperta del 1942
Tra cielo e terra – Sacro e profano nel teatro presente
Teatri dello sport
Teatro per il Sociale
Cinema sul Sipario
Musica all’Argentina
Concerti dei pianisti Stefano Bollani e Cesare Picco
Concerti dell’Accademia Filarmonica Romana
Io canto da sola (e non solo)
Teatro per i Diritti
Ve lo faccio vedere io ora il teatro
Luce sull’Archeologia
Roma per Expo Milano 2015
A tavola! – Riti del cibo e pratiche della cucina a Roma e nel Lazio, esposizione al Teatro Argentina (giugno-settembre 2o15)
Il teatro è servito!, ciclo di spettacoli sul cibo al Teatro India
L’Esposizione Universale del 1942

Questo è quanto: a me pare un piccolo miracolo essere qui, così in tanti (mi riferiscono che siamo in circa seicento sul palcoscenico: quasi l’intera capienza della sala dell’Argentina), a ribadire il ruolo centrale del teatro e della cultura, ed essere riusciti in poche settimane a costruire un percorso che sento importante e nel quale mi impegnerò con tutto me stesso.

Vi ringrazio.




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