Rossotiziano da Majorana a Fermi

Appunti su teatro & scienza

Pubblicato il 01/02/2001 / di / ateatro n. 001

Rossotiziano, giovane gruppo teatrale napoletano, da qualche tempo è alle prese con la storia della scienza del nostro secolo. Il punto di partenza, forse sull’onda della Morte di un matematico napoletano di Mario Martone, è stato la figura di Ettore Majorana, il giovane fisico catanese allievo e collaboratore di Enrico Fermi nell’ormai mitica via Panisperna. Senza dimenticare che la misteriosa scomparsa di Majorana, nel marzo del 1938, aveva appassionato anche Leonardo Sciascia – scrittore programmaticamente antiideologico, il quale dunque più che trasmettere certezze amava esplorare l’inconoscibile e l’inverificabile, compresi i misteri insolubili che appassionano anche i settimanali popolari.
Ecco dunque in Variazioni Majorana (regia di Alfonso Postiglione e Francesco Saponaro), tracciato per frammenti e con qualche guizzo comico, il ritratto del giovane genio della fisica catanese (era nato nel 1906). Si parte dai due agenti – quello diligente e quello cinicamente disincantato (Fabio Cocifoglia e Peppino Mazotta) – che il regime fascista ha inviato per indagare su una vicenda che allarma persino il Duce: s’imbarcano sullo stesso traghetto su cui era salito Majorana (in scena Alfonso Postiglione) nel fatidico viaggio Napoli-Palermo, ricostruiscono la sua biografia e la sua geniale ma inquieta personalità, rivivono la cronaca delle sue ultime giornate, s’interrogano sul significato del suo lavoro scientifico e sui suoi possibili sviluppi (pochi mesi dopo Enrico Fermi, vinto il Nobel, partirà da Stoccolma diretto verso gli Stati Uniti). Ma quel traghetto è una specie di macchina del tempo e delle possibilità, dove il presente s’avvita sul passato e fa ripartire all’infinito gioco il delle possibilità. Così come una macchina del tempo è anche il treno su cui viaggia – o sogna di viaggiare – lo stesso Majorana, come se fosse stato risucchiato all’interno della logica quantistica che era al centro dei suoi studi. Il racconto della sua scomparsa non può dunque seguire uno sviluppo lineare, ma esplora le diverse probabilità statistiche in cui si è disseminato il reale.
Dalla curiosità e dalle ricerche su Majorana è nato Gli apprendisti stregoni, che dopo aver debuttato al Crt di Milano è ora in scena al Teatro Due di Roma. Secondo i canoni ormai classici del teatro di narrazione, con una forte vocazione didattica temperata da una vena sarcastica, in poco più di due ore di monologo Antonio Marfella ricostruisce (utilizzando come traccia il saggio di R. Jungk) la terribile storia della bomba atomica, dalla fine dell’Ottocento, con scoperta della radioattività da parte di Becquerel e le ricerche dei coniugi Curie, fino al fatidico agosto 1945 che distrusse Hiroshima e Nagasaki.
Nel raccontare la tragedia che – insieme con l’Olocausto – ha segnato il Novecento, non ci si misura con ideologie regressive come nazionalismo, razzismo e antisemitismo, che oggi appaiono ributtanti agli occhi dei più e dove la tecnica assume un ruolo di servile ancella. Si affronta invece un grumo ideologico ancora vivo e attivo, filosoficamente inestricabile: il significato e il ruolo della scienza e del progresso, il senso (e i limiti) dell’accumulazione del sapere sul mondo che ci circonda, e in definitiva la perdita di un’innocenza – sulla pelle delle centinaia di migliaia di civili inermi inceneriti nel lampo apocalittico di “Little Boy”.
L’intreccio tra l’aberrazione nazista (e il terrore che anche Hitler potesse disporre dell’arma finale) e il Progetto Manhattan che portò alla realizzazione dell’atomica è ovviamente uno dei nodi degli Apprendisti stregoni. Ma oltre alle gesta degli “eroi dell’atomo” – Oppenheimer, Fermi, Szilard, Bohr, Heisenberg eccetera – Marfella intesse un altro filo narrativo: ed è quello fondamentale del rapporto tra la scienza e l’immaginario, e l’evoluzione dell’una in rapporto all’altro: nel 1950, qualche decennio prima di Cernobyl, era tutto atomico, dalle lavanderie a Rita Hayworth. Di conseguenza Gli apprendisti stregoni è anche la storia di una morale (intesa come capacità di valutare le azioni di un essere umano). È qui, in queste illusioni e delusioni, in questi sogni che si rivelano incubi, che affonda le sue radici l’ironia del narratore, e dall’altro prende forza questa parabola su uno degli eventi chiave della storia contemporanea.
Infine, il fatto che i meccanismi decisionali che hanno portato gli americani a lanciare quelle armi micidiali su un Giappone ormai sconfitto e pronto alla resa abbiano diversi punti in comune con quelli che ci portano oggi a bombardare la Bosnia, è un’ulteriore riprova dell’attualità di una riflessione sui recenti sviluppi della scienza e sullo stato del nostro immaginario. Oggi non abbiamo più gli snack bar e le barrette al cioccolato “atomiche”. In compenso siamo circondati da “lavatrici intelligenti”, “intelligenza artificiale”, “intelligenza collettiva” di Internet e naturalmente “missili intelligenti”. Mentre aspettiamo il bug del 2000.

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