Tra performance, video e teatro, tra arte e vita

The biography remix di Marina Abramoviæ, regia di Michael Laub

Pubblicato il 17/10/2004 / di / ateatro n. 074

Quando gli spettatori cominciano a prendere posto in sala per assistere a The Biography Remix – spettacolo presentato in prima assoluta nell’’ambito di Romaeuropafestival (dal 27 settembre al 2 ottobre) – il sipario è già aperto e la protagonista principale, l’’artista-performer Marina Abramovic è già in scena. Sospesa a mezz’aria, sostenuta da una struttura simile a una croce, immobile, ieratica, a torso nudo, con una lunga gonna gialla che le parte da sotto il seno e due pitoni tra le mani, l’’Abramovic appare come una sorta di ‘Dea dei serpenti’(la statuetta minoica trovata nel palazzo reale di Cnosso): una presenza scenica potente, che cattura ipnoticamente lo sguardo. Un fondale di luce diffusa giallo-oro illumina la scena, mentre un fascio di luce più chiara circoscrive la figura dell’’artista, evidenziandola e proiettando la sua ombra sul fondale. Per terra, al centro del palcoscenico, sono sistemate una fila di grandi ossa, mentre ai lati, su due supporti rettangolari, scorrono delle brevi frasi composte da led luminosi, che ci informano succintamente sulle vicende più salienti della storia personale dell’’artista (1946:nata a Belgrado. Madre e padre partigiani /1948:rifiuto di camminare / 1950:paura delle stanze da letto buie / 1961: Mestruazioni. Dipingo i miei sogni / 1962: Prima mostra / 1968: Gioco alla roulette russa con i miei amici. Scoperta del buddismo zen / 1972: Uso il mio corpo come materiale. Sangue. Dolore. Osservo operazioni chirurgiche negli ospedali … e cosi via).


© Foto di Piero Tauro.

Poco dopo, quando il pubblico si è sistemato, due grandi dobermann neri entrano in scena e cominciano ad azzannare delle ossa, staccando famelicamente dei brandelli di carne. Il suono amplificato del loro ringhiare minaccioso pervade il teatro, fino a quando non arriva sul palcoscenico una cantante che indossa un elegante vestito di seta nera e sia nel fisico che per come è truccata ricorda l’Abramovic, sembrando quasi una sorta di suo alter-ego. La cantante, Raffaella Misiti, comincia a cantare una canzone, Lotta di classe e d’amore1, dai ritmi vagamente balcanici (terra d’origine dell’Abramovic). I toni languidi e le parole della canzone (‘L’amor mio non muore/ contiene desiderio/ aria di rivoluzione/ è fonte degli amanti/ è un eccezione o solo uno come tanti’) introducono un brusco cambiamento di registro, in netto contrasto con l’atmosfera precedente, pervasa da un senso di minacciosa violenza. Con la fine della canzone si conclude la prima scena dello spettacolo, a cui fa seguito una narrazione composita della vita e del percorso artistico di Marima Abramovic, costruita attraverso un alternarsi di canti, balli, monologhi, tableaux vivants, proiezioni video e azioni performative, che contribuiscono a fare di The Biography Remix un’opera difficilmente classificabile.


© Foto di Alessia Bulgari – © Edizioni Charta, Milano 2004.

Lo spettacolo rappresenta l’’ultima tappa di un ampio progetto avviato da Marina Abramovic a metà degli anni ‘80 e intitolato The Biography, concepito in un momento particolare della sua vita, dopo la rottura del rapporto con l’’artista-performer Ulay, con cui aveva condiviso per dodici anni un intenso legame sentimentale e artistico. Lo spaesamento provocato da questa separazione le fece sorgere l’’idea di realizzare una performance basata su una teatralizzazione della sua vita e della sua carriera, per poter, quasi terapeuticamente, prendere le distanze da se stessa e da una condizione dolorosa2. L’’idea iniziale si è poi trasformata in un work in progress, a cui vengono aggiunti continuamente nuovi fatti, consentendo in tal modo all’Abramovic di fissare con lucidità e distacco alcuni snodi esistenziali ed artistici della sua storia personale. Naturalmente il progetto ha anche un significato più ampio, in quanto esprime il desiderio di veicolare, attraverso contenuti autobiografici rielaborati artisticamente, esperienze universalmente condivisibili :’se si affronta qualcosa di personale lo si deve fare a patto di riuscire a trasformarlo in qualcosa di universale, altrimenti non interessa nessuno’3. Tra le pioniere della Body art e della performance, pratiche artistiche basate su uno strettto legame tra arte e vita, non stupisce che l’artista abbia avviato un progetto incentrato sulla sua biografia. Nel corso del tempo lo spettacolo è stato presentato in diverse versioni e in diversi teatri, sia in Europa che in America, talvolta diretto dall’Abramovic stessa, talvolta in collaborazione con registi teatrali. L’’unica scena rimasta pessochè invariata è proprio quella iniziale, ideata dall’’Abramovic assieme al filmaker e videoartista Charles Atlas nel 1989, e diventata una sorta di ‘biglietto da visita’, di condensazione della sua poetica, volta ad esplorare i limiti della resistenza sia fisica che mentale per giungere a nuove forme di consapevolezza, e che tratta essenzialmente di opposti – amore e odio, violenza e tenerezza, materia e spirito, vita e morte.
The Biography Remix presenta alcune importanti novità rispetto alle versioni precedenti. Per la prima volta l’’Abramovic non è sola sulla scena ma utilizza altri interpreti, soprattutto allievi dei corsi da lei tenuti in diverse università europee ed istituzioni di arte contemporanea. Inoltre, per la prima volta la direzione dello spettacolo è stata affidata interamente al regista e coreografo belga Michel Laub, legato all’’Abramovic da un profondo rapporto di stima, amicizia e di collaborazione artistica. Sono scelte, queste, che implicano una maggiore disponibilità a lasciare ad altri l’interpretazione del proprio lavoro e delle proprie performance, e testimoniano l’avvio di una fase di riflessione da parte dell’artista su tali problematiche.
Avendo il pieno controllo sulla produzione, Michael Laub ha dunque messo in forma, ‘re-mixato’ il materiale artistico e biografico a sua disposizione fornendoci un ‘suo’ ritratto di Marina Abramovic. Laub ha scelto di non procedere secondo un ordine cronologico, ma di costruire una drammaturgia che mescola diversi piani narrativi, in cui passato e presente si intrecciano costantemente, e che assume lo schermo video quale principale dispositivo di raccordo. Il regista, che da oltre trent’anni sperimenta sulle possibilità d’’intersezione fra teatro e video, ha dichiarato a proposito dello spettacolo: ‘In un certo senso questa è un’’opera su Marina Abramovich e uno schermo. Il fatto che lo schermo impegni cinquantacinque minuti a salire o scendere significa che occorreva costruire un’intera struttura drammaturgica intorno a quell’’oggetto’4.
In varie fasi dello spettacolo, un enorme schermo che occupa quasi tutto il proscenio si alza e si abbassa assolvendo molteplici funzioni. Quella, ad esempio, di ‘memoria storica’: a tratti su di esso scorrono le immagini delle principali performance di Marina Abramovic a partire dagli anni ‘70, che documentano il rapporto dell’artista con il corpo, il dolore e la resistenza fisica. Allo stesso tempo lo schermo scandisce le varie sezioni dello spettacolo, creando slittamenti, cortocircuiti temporali, sovrapposizioni di tempi diversi. Una scena particolarmente toccante è quando sullo schermo viene proiettata una performance di Marina e Ulay del 1978 intitolata Incisione. Nella performane Ulay, nudo, cammina verso il pubblico, impedito in questo movimento da una corda elastica fissata al muro che gli cinge la vita e che lo respinge costantemente indietro; mentre si svolge questa azione Marina Abramovic, vestita e immobile in un lato della stanza, in concomitanza con il punto di massima estensione della corda, osserva la scena impassibile. Ad un certo punto, lentamente, lo schermo su cui sono proiettate le immagini si alza, e il pubblico può vedere la stessa performance eseguita dal vivo sul palcoscenico. Per un attimo avviene una sorta di sospensione temporale, perché i protagonisti sembrano gli stessi, come se il tempo fosse stato azzerato, mentre in realtà, come apprendiamo dalle scritte sui led luminosi, al posto dell’’Abramovic c’è una sua allieva e al posto di Ulay suo figlio, che gli rassomiglia in maniera sorprendente. E’ un ciclo che si ripete, ma è soprattutto un ‘passaggio al testimone’, che esprimono il bisogno, il desiderio di preservare esperienze significative.

Incision, 1978 © Archivio di Marina Abramovic © Edizioni Charta, Milano 2004.
© Foto di Alessia Bulgari © Edizioni Charta, Milano 2004.

Sovrapposizioni temporali vengono realizzate nello spettacolo anche proiettando dei video sulla parete di fondo del palcoscenico. In un’altra scena estremamente suggestiva, sulla parete di fondo vengono proiettate le immagini della performance Light/Dark, del 1977, in cui Marina e Ulay, seduti in ginocchio l’uno di fronte all’’altro, si schiaffeggiano fino allo sfinimento. Progressivamente sul palcoscenico entrano cinque coppie di giovani interpreti che ripropongono la stessa performance, trasformando il rumore provocato dagli schiaffi in una sorta di composizione musicale. C’è un contrasto tra l’intensità e la tensione emotiva che traspare dai volti di Marina e Ulay in video e una sorta di leggerezza, che caratterizza la riattualizzazione della performance in chiave ‘musicale’, nonostante il fatto che gli schiaffi siano reali, violenti e sicuramente dolorosi.


© Foto di Alessia Bulgari – © Edizioni Charta, Milano 2004

In effetti, nel corso dello spettacolo, ogni volta che ci troviamo di fronte alla reinterpretazione live delle passate performance, si avverte una sorta di scarto, come se ‘teatralizzandosi’ cambiassero di segno. Ciò che parzialmente si perde – e di cui paradossalmente le immagini video preservano la traccia – è la dimensione di evento unico, eccezionale, di carattere ritualistico tipica dell’’arte performativa, che si basa su un forte coinvolgimento e una forte interazione con il pubblico. Inserite in un flusso narrativo complesso e stratificato le performance live eseguite dagli allievi dell’’Abramovic, pur restando fedeli a quelle originarie, acquisiscono nuove valenze, nuovi significati, che riflettono anche le scelte registiche di Michael Laub, il quale ha costruito uno spettacolo dalle scenografie minimali ma visivamente ed esteticamente molto accurate, modulato su una molteplicità di registri – dall’’ironico al giocoso, dall’estetizzante all’oleografico, dal concettuale all’’emotivamente coinvolgente – sospeso in una dimensione liminale, tra il regno della realtà e quello della finzione.



© Foto di Alessia Bulgari – © Edizioni Charta, Milano 2004.

The Biography Remix rappresenta un’’ulteriore tappa nel percorso artistico di Marina Abramovic, che con tale spettacolo ha inteso aprire una riflessione sullo statuto e sul futuro dell’’arte della performance, più precisamente sulla possibilità di rieseguire e persino reinterpretare opere performative. Questo è il motivo principale per cui ha scelto di non occuparsi direttamente della regia ed ha utilizzato in scena dei suoi studenti: ‘Credo … negli studenti e nella loro possibilità di interpretare un’’idea originale di performance, per questo durante lo spettacolo lascio che siano loro a finire delle azioni che ho cominciato io’5.



© Foto di Alessia Bulgari – © Edizioni Charta, Milano 2004.

L’’ipotesi su cui sta lavorando l’’artista è che le performance, al pari di uno spartito musicale, possano appartenere a chiunque sia in grado di eseguirle: ‘Dopo trent’anni di lavoro credo … che, come un musicista suona la musica di Bach o Beethoven e della sua esecuzione può fare una versione ascoltabile all’’infinito, allo stesso modo, se sei un artista di performance puoi anche interpretare qualcun altro. Nessuno lo ha mai voluto fare, ma voglio essere la prima a farmi da parte e a lasciare spazio agli altri’6. In questa direzione l’Abramovic sta progettando un lavoro per il Guggenheim di New York, dove questa volta sarà lei ad eseguire una serie di performance di altri artisti, dopo aver chiesto loro precise istruzioni ed un permesso formale per poterle reinterpretare. Il ‘work in progress’ continua … in attesa di una nuova versione di The Biography.

NOTE

1 Raffaella Misiti, Lotta di classe e díamore, di Selvaggi-Misiti-Scatozza, suonata dagli Acustimantico.
2 Per un’esauriente descrizione di The Biography Remix e della sua genesi, si può consultare il libro The Biographhy of Biographies, edito da Charta e pubblicato in concomitanza con la realizzazione dello spettacolo.
3 La forza nuda della mia vita, intervista a Marina Abramovic a cura di Elena del Drago, «il manifesto», 1° ottobre 2004.
4 The Biographhy of Biographies, Charta, Milano, 2004, pag. 21.
5 Intorno alla mia vita, dichiarazione di Marina Abramovic in un articolo di Arianna di Genova, «il manifesto», 29 settembre 2004.
6 La forza nuda della mia vita, intervista a Marina Abramovic a cura di Elena del Drago, «il manifesto», 1° ottobre 2004.

Silvana_Vassallo

2004-10-17T00:00:00




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