Le recensioni di ateatro La resistibile virilità del mascellone: Eros e Priapo con Massimo Verdastro

Il Premio Olimpico del teatro 2007. interpreta l’invettiva gaddiana sul Duce e sull’attrazione erotica del potere

Pubblicato il 20/09/2009 / di / ateatro n. 112

Massimo Verdastro, romano, vincitore degli Olimpici del Teatro 2007 come migliore attore non protagonista per la straordinaria interpretazione dell’Upupa negli Uccelli da Aristofane, diretto da Federico Tiezzi, è un attore atipico, con una biografia professionale del più alto livello (diretto da Ronconi, Stein, Tiezzi, eccetera), vincitore di premi Ubu, fondatore con Francesca Della Monica dell’omonima compagnia, ama le sfide teatrali cercando nella solitudine dei monologhi, a cui lavora anche sul piano drammaturgico e registico, un affollamento di voci e registri interpretativi, dalla chiave grottesca all’intensità drammatica, sempre con una marcata attenzione all’invenzione linguistica e poetica, e al risvolto etico del fare teatro. Dalla messinscena di Una divina di Palermo su testi di Nino Gennaro (con adattamento drammaturgico di Nico Garrone) al SuperEliogabbaret, un collage arbasiniano dove l’attore di varietà Elio Gabbalo racconta Roma attraverso l’immaginario poetico, teatrale e cinematografico fino al recente Eros e Priapo, da Gadda, con la regia di Roberto Bacci (entrambi gli spettacoli con la collaborazione drammaturgica di Luca Scarlini e le musiche a cura di Della Monica).
Eros e Priapo, che si può vedere al Nuovo Teatro Colosseo di Roma, diretto da Ulisse Benedetti e Simone Carella, dal 15 al 23 settembre, è la riproposizione teatrale di un feroce libello scritto da Carlo Emilio Gadda nel 1944 sull’onda del furore e anche del senso di colpa seguiti alla disfatta del Fascismo di cui la maggioranza degli italiani, ivi compreso l’autore, avevano subito il fascino fatale. Simpatizzante fino al 1943, Gadda non riesce ad essere un vero fascista perché sposa soltanto alcuni aspetti di quell’ideologia, come l’orgoglio nazionalista e lo spirito (inizialmente) antiborghese; non riesce nemmeno a essere antifascista, perché la sua reazione al regime è troppo tardiva. Di qui la rabbia per esser stato (ed essersi) ingannato dalla propaganda del Duce (che egli chiama Ku-ce, colui che cuce menzogne e tesse trame mortali), diventando complice, insieme a milioni di italiani, dello sfacelo nazionale. Eros e Priapo, scritto attraverso l’ater-ego di un conferenziere, è quindi un’invettiva accorata e terribile, anche esilarante nelle sue caricature linguistiche, contro la seduzione del potere e del carisma del leader, che per quanto cialtrone (vedendo oggi i discorsi di Mussolini ci si domanda come le masse, ma soprattutto la maggioranza degli intellettuali, abbiano potuto dare credito a una teatralità così grottesca), criminale e avventurista, riesce tuttavia ad essere così ipnotico, persuasivo e pervasivo. Esempi più recenti di questa pericolosa fascinazione, anche se per fortuna meno tragici, si sono riproposti in casa nostra, dando ragione a Gadda che in questo fenomeno vedeva una particolare attitudine degli italiani alla suggestione del populismo e all’incapacità di sviluppare una vera coscienza critica verso il potere. Gadda dava una spiegazione, in parte provocatoria ma anche oggettivamente radicata nelle dinamiche psicologiche collettive, di carattere erotico e pensava addirittura alla possibilità di riscrivere la storia partendo dai suoi “moventi” erotici.
Massimo Verdastro, con l’ausilio della puntigliosità registica di Roberto Bacci, riesce ad animare questo lucidissimo delirio con semplici gesti (dall’umile condizione dell’uomo delle pulizie fino alla baldanza cattedratica del conferenziere) e con una sorprendente poliedricità di voci, creando un crescendo ritmico (simile appunto al crescendo e al climax erotico) che diventa incalzante e torrentizia proliferazione verbale, dove l’incessante invenzione gaddiana del linguaggio e la ferocia “bisturica” della sua analisi scuotono l’ascolto dello spettatore così come il corpo dell’attore, che partecipa con tutte le sue fibre, vibra, alla fine quasi sembra esplodere per la troppa rabbia e l’eccessiva carica deflagratrice di una miscela che unisce in modo indissolubile gli opposti: l’eccitazione con la delusione, la tragedia con la farsa, la verità con la menzogna. Ancora una volta una grande prova d’attore per Verdastro, che si distacca dall’ostentazione e dal narcisismo mattatoriale vizio ottocentesco dei nostrani “divi” teatrali, per animare con la finezza dell’intelligenza, la modulazione della sensibilità e la piena padronanza del corpo e della voce i fantasmi della scena.

Andrea_Balzola

2007-09-20T00:00:00




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