L’eroico cabaret dei Moustache Brothers nella Birmania dei generali

Risate e lacrime una sera d'estate in un garage di Mandalay

Pubblicato il 02/02/2021 / di / ateatro n. 174

In agosto Mandalay è una città schiacciata dall’afa, quella che toglie il fiato e ti inzuppa i vestiti anche quando sei all’ombra. Talmente calda che anche il sole sparisce da quanta afa c’è.

I Moustache Brothers

Ma l’aria che si respira è quella di una città che basa la propria rinascita sulla corruzione. Le poche strade illuminate di notte sono quelle battute dai turisti, che – senza saperlo – dormono in alberghi tirati su in pochi giorni per riciclare i soldi dei generali dalle capitali, con manodopera sfruttata che lavora in condizioni molto al di sotto di qualunque standard di igiene e sicurezza.
La capitale culturale, la città dello spirito e delle arti decantata nelle guide, è solo il ricordo di un mondo ormai scomparso e di cui rimane solo l’aura in alcuni luoghi simbolo come il Palazzo Reale – che per chi ha letto Il Palazzo degli specchi di Amitav Gosh è una grande delusione – e il Mandalay Hill, ormai meta più turistica che spirituale.Ma a Mandalay c’è un garage dove ogni sera, nella 39sima strada, fra la 80 e la 81, se ci sono almeno quattro spettatori, per solo 8.000 Kyat (circa 5 euro) va in scena da oltre vent’anni un teatro fatto di passione e resistenza.
I Moustache Brothers, ovvero U Par Par Lay e U Lu Maw (che sono davvero fratelli) e U Lu Zaw (che è loro cugino), figli e nipoti di attori, iniziano circa trent’anni fa facendo satira e attaccando il potere, ma in un paese come la Birmania non tutto è tollerato. Nel 1996, dopo uno spettacolo a casa di Aung San Suu Kyi a Yangoon, Lay e Zaw vengono condannati a sette anni di lavori forzati per aver criticato il governo. Nell’occasione vengono arrestati anche due membri della Lega Nazionale per la Democrazia – il partito di Aung San Suu Kyi – che avevano organizzato la replica. Massiccia la mobilitazione internazionale per la loro scarcerazione, da Amnesty International al premio Nobel Dario Fo. I due artisti vennero rilasciati dopo sei anni di carcere, anche se a condizioni durissime: arresti domiciliari, niente tournée, esibizioni solo per stranieri, in inglese. E niente satira.

Comincia allora il periodo di “mobilitazione domestica”: il palcoscenico diventa il garage di casa, gli spettacoli continuano nonostante i serrati controlli e la nuova incarcerazione di Par Par Lay, nuovamente arrestato il 25 settembre 2007 per proteste antigovernative.
I Moustache Brothers sono rimasti in due, Lu Maw e Lu Zaw, e hanno continuato a esibirsi anche dopo la morte di Lay, avvenuta nel 2013 per problemi renali – presumibilmente causati dalla vernice al piombo che ricopriva le pareti del serbatoio d’acqua da cui ha bevuto in prigione. Negli ultimi anni è rimasto solo Maw con la sua splendida famiglia – in scena anche la moglie Aung San Suu Kyi (omonima per caso o per finta, non è dato sapere), apparsa in copertina sulla guida LonelyPlanet a fine anni Novanta.

Chi entra in quel garage si gode un paio d’ore di intrattenimento a denti stretti, tra la dimostrazione di un ballo tipico, una battuta sui cliché degli ospiti seduti in platea – quella sera due italiani, un tedesco e un inglese – e qualche video di vecchie rappresentazioni con pubblico locale. E’ difficile non trattenere le lacrime, pensando alla tenacia e alla passione per il proprio paese, per il teatro e per la libertà dei Moustache Brothers. Tutte cose da tenere bene a mente quando andiamo a votare. E magari anche quando andiamo a teatro.




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