Bandi allo sbando

Dall'Emilia-Romagna alla Calabria, da Genova a Cagliari

Pubblicato il 12/08/2021 / di / ateatro n. 179

Sono episodi marginali, che di solito hanno un’eco locale: interessano un comune o tutt’al più una Regione. Tuttavia nel loro insieme sono indizi di un problema che ha una portata molto più ampia.

Comizi d’amore, regia in remoto di Kepler 452 per il Festival Internacional de Buenos Aires

# Emilia-Romagna
Ai primi di luglio, la Regione Emilia-Romagna pubblica le graduatorie e i contributi per i “Progetti relativi ad attività di promozione culturale ai sensi della l.r. N. 37/1994 e ss.mm.ii. ‘Norme in materia di promozione culturale’”. A destare sorpresa è l’esclusione dai 249 soggetti sostenuti dalla Regione (con un finanziamento totale di oltre 2 milioni di euro) di realtà di rilevanza nazionale come Kepler 452, Sementerie Artistiche e La Bottega dello Sguardo, che pure erano state sostenute nelle annate precedenti.
Ferma restando l’autonomia dei commissari che valutano i progetti, l’impressione è quella di una scarsa conoscenza di alcune tra le realtà più interessanti e innovative del territorio. O – a pensar male – di scelte condizionate da motivazioni politiche.

Protoconvento Francescano, Castrovillari

# Calabria
Dopo oltre vent’anni, ai primi di agosto 2021 Settimio Pisano annuncia che Primavera dei Teatri, una delle rare eccellenze teatrali di una Regione culturalmente disastrata, non parteciperà all’Avviso delle Regione Calabria per il finanziamento dei Grandi Eventi. Lo stesso Pisano ha ampiamente spiegato le ragioni di una scelta certamente assai dolorosa con una lettera aperta al ”Quotidiano del Sud” (vedi i Materiali qui sotto).

È possibile valutare con gli stessi criteri un festival di letteratura contemporanea e un meeting di atletica leggera? E soprattutto: può un evento con una chiara funzione culturale essere considerato un “grande evento” secondo i parametri di questo Avviso regionale?
La risposta è no: quando verranno fuori le graduatorie di questo Avviso, non troverete nessun evento con funzione prioritariamente culturale, ma soltanto manifestazioni a carattere principalmente turistico, spettacolare, di intrattenimento, sportivo ecc.
Perché un evento con una funzione culturale preminente, difficilmente può essere inquadrato all’interno degli obiettivi, certamente legittimi, che persegue questo Avviso.
Festival come Primavera dei Teatri (e in Calabria ce ne sono altri) danno il loro contributo alla crescita turistica ed economica regionale, valorizzano i beni artistici e paesaggistici, fanno marketing territoriale e place branding, ma tutto questo lo fanno come conseguenza di un progetto che ha una funzione differente, orientata allo sviluppo culturale del territorio e delle sue comunità, alla crescita di cittadini più consapevoli, al ricambio generazionale e al sostegno ai giovani artisti, all’innovazione e al rischio culturale, ai processi sociali e di partecipazione democratica.
Tutti concetti di cui, in questo Avviso, non c’è alcuna traccia.

# Genova
Con il progetto “Genova Città dei Festival”, il Comune di Genova sostiene per il 2021 29 manifestazioni, con un finanziamento tra i 16.000 e i 6.000 euro per ogni soggetto. Sono manifestazioni che hanno una lunga storia e che ricevono dal Comune di Genova un contributo poco più che simbolico.
Nel documento di assegnazione per Genova Città Festival 2020 si precisava che

Al momento in considerazione della grave difficoltà economico finanziaria determinatasi a causa della pandemia da Covid 19 non è stato possibile destinare ulteriori risorse al Bando oltre a quelle reperite tramite sponsorizzazione.
La Civica Amministrazione si impegna a reperire ulteriori risorse in corso d’anno per scorrere la graduatoria e finanziare ulteriori progetti anche tenendo conto di eventuali trasferimenti governativi previsti nei prossimi mesi a compensazione delle mancate entrate determinatesi a causa dell’emergenza sanitaria.

Nel 2021 questa precisazione non viene più ritenuta necessaria.
Ma quando si vuole, i soldi vengono fuori. Tanti soldi, mica spiccioli.
Al festival “Genova Jeans”, in programma tra il 2 e il 6 settembre 2021, viene inizialmente assegnato un finanziamento di 100.000 euro.

GenovaJeans

Nel luglio 2021, si scopre che la Giunta ha deciso di portare il sostegno alla manifestazione a 650.000 euro, cui si aggiungono altri 470.000 euro di denaro pubblico stanziati da Liguria International tramite ICE (Istituto del Commercio Estero).
Nell’interrogazione presentata dal Gruppo PD Comune di Genova, si chiede:

👉 Perché una manifestazione di 5 giorni che doveva costare 550.000 euro arriverà a costare oltre 1,2 milioni?
👉 Perché il contributo a carico del Comune è passato da 100.000 a 650.000 euro?
👉 Non esisteva un modo più efficace di spendere un milione di denari pubblici, magari puntando alla riqualificazione di Via del Campo e di Via Prè?
👉 Davvero si spenderanno 120.000 euro per il sito internet di Genova Jeans, 67.000 per spese di viaggio e 170.000 per un’agenzia di comunicazione, come emerge dall’ultima versione del budget?

Si ripete che i soldi per la cultura non ci sono, ma evidentemente per una manifestazione realizzata in collaborazione con marchi di successo internazionale per promuovere il loro brand, il Comune di Genova i soldi li sa trovare. Magari riducendo il finanziamento ad altri progetti. Come si legge nel power point di presentazione,

La nascita e la realizzazione di GenovaJeans sono state possibili grazie a Marco Bucci (sindaco di Genova) e gli assessori della sua giunta, Manuela Arata (presidente del comitato promotore di GenovaJeans), Alberto Candiani (Candiani) e Andrea Rosso (Sustainability Ambassador, Upcycling Artistic Director e direttore creativo del licensing Diesel e del brand MYAR).

# Cagliari
A Cagliari, il Teatro di Sardegna (TRIC dal 2015) decide di non partecipare al Bando per la gestione biennale del Teatro Massimo (2022/2023), dove ha sede dal dal 2009, dopo aver vinto un bando in cui il progetto veniva valutato in maniera qualitativa e quantitativa insieme. Il nuovo bando è assai diverso. La vicenda viene ricostruita degli interessati nei dettagli nel corso di una conferenza stampa il 5 agosto 2021. (vedi i Materiali qui sotto)

Macbettu, regia di Alessandro Serra

Macbettu, regia di Alessandro Serra

Il Teatro di Sardegna ha provato a elaborare un piano economico finanziario per verificare l’eventuale possibilità della partecipazione alla gara, immaginando delle stime sui dati mancanti.
Questo vulnus nelle informazioni ha aperto una gamma di possibilità economiche troppo ampie e con dei casi limite pericolosamente rischiosi per la gestione di un’azienda culturale come il Teatro di Sardegna e per il suo ruolo sul territorio, come validato dal Ministero della Cultura.
Inoltre, il bando presenta di fatto – oltre agli aspetti tecnici evidenziati – chiare indicazioni di politica culturale, laddove la cultura è intesa come mainstream che genera utili e che viene valutata in virtù di meri criteri quantitativi.
Un bando che pesa l’azione culturale in termini solo di profitto tradisce il ruolo della politica nei territori.
Presentato come bando sperimentale, a nostro avviso non ha nulla per essere definito tale. Ha paletti e recinto ben definiti.
La prima scelta: non più un bando con un progetto elaborato, selezionato con la proposta economicamente più vantaggiosa, bensì un bando a massimo rialzo, quasi fosse un appalto per asfaltare una strada. Viene chiarito meglio dall’art.1 che indica nella principale finalità quella del “trattenimento” ossia la “riunione di più persone a scopo di piacevole passatempo” [v. Treccani] e dall’art.14: “è fatto divieto di sublocazione della struttura. È fatta salva la possibilità di concedere, saltuariamente e non in via prevalente, l’utilizzo delle singole aree di spettacolo dietro pagamento di un corrispettivo, a chi ne faccia richiesta per la realizzazione di pubblici spettacoli”.
Viene totalmente formalmente eliminata la natura di teatro come produttore di spettacoli e contenuti artistici, nonché di teatro aperto, crocevia della città che è stata al centro del precedente bando.

Alcune considerazioni
La forma del bando è molto popolare e apprezzata, anche dai più giovani. Viene considerata più aperta, trasparente, meritocratica, soprattutto rispetto ai sistemi di cooptazione e affiliazione che dominano buona parte della nostra vita pubblica. Ma non mancano le trappole, come aveva evidenziato Giovanna Marinelli in un memorabile intervento alle Buone Pratiche del teatro.
Nei casi che abbiamo evidenziato, qualcosa non ha funzionato, il meccanismo si è inceppato. Sono bandi redatti male, con meccanismi di valutazione inadeguati e commissioni poco competenti.

La porta stretta
Un primo nodo riguarda i requisiti d’accesso e i criteri di valutazione. Commi, cavilli, trappole, strettoie setacciano l’acceso ai bandi. Molto spesso queste impervie soglie di accesso servono a escludere o a penalizzare i candidati (o le tipologie di candidati) sgraditi.

La neolingua progettese
Quello dei bandi (a cominciare dai bandi europei, che sono la salvezza per molte realtà italiane) è diventato un gergo, una neolingua fatta di frasi fatte e parole chiave. Quando si risponde a un bando, non si tratta tanto di sviluppare la propria progettualità, in dialogo con la progettualità dell’ente erogatore, ma di cucire progetti “su misura” rispetto a quelle che si interpretano come richieste del bando. A prescindere dalla propria vocazione.

Pararsi il culo
In ogni caso, si tratta di evitare eventuali ricorsi. Il principale obiettivo dell’amministrazione è cautelarsi, prevenire problemi e contestazioni, restare generici sui contenuti e farsi cavillosi nelle procedure. Non sempre funziona: l’eccesso di cautele genera labirinti procedurali e moltiplica i dubbi (e le possibilità di ricorso).

La grammatica dei bandi
Molti bandi pubblici risultano mal redatti. A volte sono confusi e pasticciati, vaghi e contraddittori. Gli obiettivi restano vaghi, o sono troppi e a volte incompatibili. Troppi obiettivi uguale nessun obiettivo chiaro.
Affidandosi a un burocratese generico e automatico, i bandi vengono scritti senza tener conto delle realtà del territorio e delle caratteristiche (e delle esigenze) dei soggetti che vi operano.

Il trattenimento
I bandi sulla cultura tendono sempre più spesso a mettere in secondo piano la progettualità e l’eccellenza artistica, a favore da un lato dell’intrattenimento; o alternativamente – quando gli obiettivi sono chiari – spingono decisamente verso la promozione turistica del territorio o insistono sulle ricadute sociali del progetto.
In Calabria, si mettono “sullo stesso piano e nello stesso calderone ipotetici grandi eventi culturali, di spettacolo, sportivi, enogastronomici, di natura e benessere, di artigianato”. A Cagliari, “la principale finalità quella del ‘trattenimento’” e “la cultura è intesa come mainstream che genera utili e che viene valutata in virtù di meri criteri quantitativi”.
I progetti culturali vengono snaturati o azzerati in nome delle presunte esigenze del pubblico (e della fame di popolarità di sindaci e assessori). Proliferano i sottoprodotti di altri media, con star che sfruttano la popolarità ottenuta al cinema, in televisione, su YouTube, e tra poco su TikTok.

Alla cieca
Troppo spesso all’assegnazione dei sostegni non segue una adeguata azione di monitoraggio e tutoraggio in corso d’opera: la regola in genere è “Prendi i soldi e rendiconta”. Questo processo non è utile solo e tanto ai soggetti che beneficiano del bando e di questo supporto: offre a chi ha lanciato il bando un feedback indispensabile in un’ottica di medio e lungo periodo.
Manca in genere qualunque procedura di valutazione dei risultati, al di là della già citata rendicontazione. Chi dà i soldi se ne lava le mani, chi li prende si lamenta dei controlli burocratici sempre più invasivi (che però vengono ritenuti meno pericolosi di ingerenze e verifiche sui contenuti e sull’attività).

Il fuoribusta
Le regole vanno bene, ma ci sono sempre le eccezioni.
Se serve, per gli amici, si possono sempre trovare somme (anche ingenti), per sostenere qualche progetto particolarmente “amico”, anche se sulla base del bando non ne avrebbe alcun diritto.
Lo stesso vale anche quando il verdetto è troppo scandaloso e qualcuno minaccia di alzare la voce: in questo caso, si piò sempre scucire qualche soldino per vie traverse: così nessuno ha il coraggio di sollevare pubblicamente la questione, perché altrimenti i soldi non li vedi né a questo bando né al prossimo.
La trasparenza diventa un optional.

Giunta disgiunta
Sia il nuovo sindaco sia il nuovo assessore hanno una certezza: quelli che prendevano i soldi pubblici erano amici del sindaco o dell’assessore precedente, che sono di un altro partito o addirittura di un’altra corrente dello stesso partito (questa è considerata un’aggravante). Dunque fuori dai piedi! Alla faccia della validità e della continuità del progetto culturale.

Una conclusione su cui discutere

Laddove le classi dirigenti locali non si dimostrano in grado di governare adeguatamente un settore, la gestione di quest’ultimo dovrebbe tornare di competenza statale. Gli operatori culturali e i cittadini calabresi devono avere le stesse opportunità del resto degli italiani.
Se le classi dirigenti locali non sono in grado di garantire una parità di diritti, allora lo Stato deve intervenire. Può sembrare una provocazione e, ahimè, per le percentuali di realizzabilità della proposta in parte lo è.
E siamo arrivati al nodo cruciale, al tema da affrontare e risolvere una volta per tutte, senza il quale tutto il resto dei singoli problemi non può essere visto e discusso in una luce chiara: il tema del posizionamento e della funzione.
Qual è il reale posizionamento del settore delle attività culturali in termini di considerazione da parte delle classi dirigenti e dei cittadini nella nostra regione?
È un posizionamento da serie C.
(Settimio Pisano)

Documenti e materiali

La delibera e la graduatoria delle Legge 37 (Regione Emilia-Romagna)

Delibera-n.-280-2021-Avviso-L.R.-37-94

Delibera-n.-1026-2021-Graduatorie-e-contributi-LR-37

Il comunicato del Teatro Massimo (Comune di Cagliari)

La prima constatazione che vogliamo condividere si riferisce al percorso per definire il bando per la gestione biennale del Teatro Massimo (2022/2023). Non siamo stati coinvolti in alcun modo e gli stessi documenti evitano qualsiasi riferimento all’attuale gestione più che decennale del teatro. La delibera 77/2021 della giunta comunale – che detta le linee di indirizzo della gara – riduce l’esperienza attuale a questo passaggio: “stante l’imminente scadenza del precedente appalto di concessione del Teatro”.
Auspicavamo un percorso più attento, con audizione della Commissione Cultura, approfondimenti tecnici con i nostri responsabili dei vari settori, perché la complessità del Teatro Massimo non può essere conosciuta se non attraverso più incontri, acquisendo un sapere che è collettivo.
Il capitolato della gara precedente, elaborato con cura e pazienza, suggeriva un percorso più attento e con tempi più lunghi: art. 4 “[…] il procedimento di gara per l’individuazione del nuovo concessionario sarà avviato dall’amministrazione Comunale almeno 18 mesi prima della scadenza del termine di affidamento […] (Ndr, dicembre 2019)”.
Abbiamo avuto alcuni incontri aperti con il Sindaco e il presidente del Consiglio Comunale, ma è chiaro che le scelte erano già state prese e il bando ormai redatto.
Abbiamo sentito tutto il disinteresse verso il Teatro di Sardegna, principale impresa privata culturale dell’isola. Sembra non esserci alcun timore di perdere in questa città la nostra presenza, in totale controtendenza rispetto al Ministero della Cultura – che ci considera il principale interlocutore regionale – attraverso riconoscimenti costanti: proprio in questi giorni è stata pubblicata la graduatoria delle azioni trasversali/tournèe estero e il Teatro di Sardegna è beneficiario di ben 3 contributi su un totale di 21 azioni nazionali.
La stessa Regione Autonoma della Sardegna sta accompagnando il Teatro di Sardegna verso un complesso percorso che potrebbe trasformarlo nei prossimi anni in un Teatro Nazionale; aspetto totalmente ignorato dal Comune di Cagliari.
Sul Teatro Massimo sentiamo anche la necessità di evidenziare come sia oggi, a Cagliari, l’unico teatro di proprietà comunale non chiuso, che nel 2019 – pre-Covid – ha avuto più di 900 aperture con iniziative di ogni tipo accessibili al pubblico. La gestione del Teatro di Sardegna del Massimo non ha temuto di lavorare in eccesso, offrendo così gli spazi alle associazioni, ai festival, alle presentazioni di libri, alle lezioni di storia, incontri di filosofia, proiezioni cinematografiche, casting per attori, convegni, laboratori, workshop e moltissimo altro che ha contribuito a delineare l’identità del Teatro Massimo come quella di polo culturale della città.
Questo è reso possibile anche dal riconoscimento da parte del Ministero della Cultura, avvenuto nel 2015 e confermato nel 2019, del Teatro di Sardegna come unico Teatro di Rilevante Interesse Culturale della Sardegna, completando la trasformazione da compagnia teatrale a istituzione produttiva nazionale.
Questo bando non soltanto non riconosce questa eredità, ma sembra finalizzato a cancellarla.
Perché non abbiamo partecipato?
Abbiamo ovviamente valutato la possibilità di candidarci, basandoci su un’analisi attenta del bando che presenta non pochi errori e criticità.
Abbiamo anche provato a chiedere chiarimenti per i quali abbiamo solo avuto comunicazione informale che la richiesta era stata inviata oltre la scadenza del 24 luglio e quindi fuori tempo consentito. A oggi non siamo ancora riusciti a trovare nei documenti del bando questa data di scadenza. Di contro, ci ha meravigliato che non sia stato inserito un limite di data per il sopralluogo obbligatorio, ma forse anche qui la scadenza è di difficile reperimento
Subito abbiamo notato diversi errori marchiani: la schermata di sintesi riporta una base d’asta di un euro mentre i documenti interni la alzano a 5mila euro. Ma anche: per uno scherzo del copia/incolla in un documento si faceva riferimento all’ex Vetreria di Pirri!
Il più assurdo di tutti, che suggerisce interpretazioni psicoanalitiche, è riferito alla stagione del concessionario che deve essere garantita nel primo semestre del 2022. Il Teatro di Sardegna – attuale concessionario – ha fatto rinuncia formale della possibilità di poter tutelare la propria programmazione nel primo semestre del 2022.
Però nei documenti allegati alla gara relativi alla stagione del concessionario, compare la stagione del circuito privato Cedac. Rinvenuto questo primo errore il 20 luglio la stessa stagione Cedac viene proposta come stagione di un partner del concessionario Teatro di Sardegna, che la avrebbe approvata.
Noi non approviamo le stagioni Cedac!
Se l’amministrazione vuole tutelare il circuito privato si assuma la responsabilità con un atto pubblico, azione che rientra nei suoi poteri.
Oppure sarebbe stato sufficiente fare riferimento al capitolato che regola la gestione attuale, sempre art. 4: “[…] è facoltà del concedente prorogare la concessione nelle more della procedura di gara per l’individuazione del nuovo concessionario […] comunque consentendo al concessionario di portare a compimento la propria stagione teatrale […]”.
Ad ogni modo – anche prescindendo da questo articolo – le indicazioni statali, che garantiscono ampia elasticità delle scelte delle società appaltanti, avrebbero legittimato al concessionario un proroga di 12 mesi, invece di 6. Come è accaduto in questi anni di gestione del Teatro di Sardegna, la stagione del circuito Cedac avrebbe avuto il suo normale svolgimento al Teatro Massimo.
Il bando mostra subito difetti formali e soprattutto di trasparenza molto gravi.
La gestione del bar non viene contemplata in questa gara, ma farà parte di una successiva. Tuttavia al Teatro Massimo, il bar condivide spazi vitali del teatro: il retro, gli impianti elettrici e non solo. Nella fattispecie, il bar abita gli spazi per garantire il deflusso del pubblico. Quali costi e responsabilità ricadono sul bar e quali sul gestore del Teatro?
La sventurata ipotesi che sia necessario condurre il pubblico verso un’uscita di emergenza porrebbe delle criticità che metterebbero a rischio le sicurezza del posto e delle persone.
Ci sono diverse possibili soluzioni ma, non essendo ancora uscito il bando per la gestione del bar, resta tutto un’incognita.
Sarebbe stato sufficiente un sopralluogo con i Vigili del Fuoco per capire la scelta assurda di separare le gestioni.
E ancora, nella gara non viene messa in evidenza l’assenza di agibilità definitiva del Teatro Massimo, mancanza che costringe a prescrizioni stringenti circa la quantità di personale da impiegare durante gli spettacoli.
Non è chiaro se altre attività presenti in teatro (es. Il bookshop) possano continuare a esistere, visto il divieto di subappalti.
Il bando fa riferimento alla dotazione del Teatro Massimo di attrezzature tecniche esistenti in grado di garantire grandi spettacoli, tuttavia chiunque – a seguito di rapida verifica – potrebbe facilmente intuire che il materiale è utile nella migliore delle ipotesi per un reading.
Non vengono comunicati costi di utenze e tasse – ormai storicizzati – che avrebbero aiutato a elaborare un piano economico.
L’utilizzo gratuito a favore del Comune di 30 giornate non distingue tra le sale i cui costi diretti sono ben diversi (presenza o meno dei vigili del fuoco, ad esempio).
Altresì, non è esplicitato che i prezzi di affitto a terzi possano essere vincolati dalla determina del consiglio comunale, che stabilisce tutte le tariffe di utilizzo degli spazi pubblici.
Sarebbe stato importante indicare le strategie del Comune in direzione di una sostituzione degli impianti ormai obsoleti (quelli termici in particolare) e un piano di efficientamento energetico.
Né alcuna indicazione sull’agibilità definitiva del Teatro.
Nulla di tutto ciò.
Il Teatro di Sardegna ha provato a elaborare un piano economico finanziario per verificare l’eventuale possibilità della partecipazione alla gara, immaginando delle stime sui dati mancanti.
Questo vulnus nelle informazioni ha aperto una gamma di possibilità economiche troppo ampie e con dei casi limite pericolosamente rischiosi per la gestione di un’azienda culturale come il Teatro di Sardegna e per il suo ruolo sul territorio, come validato dal Ministero della Cultura.
Inoltre, il bando presenta di fatto – oltre agli aspetti tecnici evidenziati – chiare indicazioni di politica culturale, laddove la cultura è intesa come mainstream che genera utili e che viene valutata in virtù di meri criteri quantitativi.
Un bando che pesa l’azione culturale in termini solo di profitto tradisce il ruolo della politica nei territori.
Presentato come bando sperimentale, a nostro avviso non ha nulla per essere definito tale. Ha paletti e recinto ben definiti.
La prima scelta: non più un bando con un progetto elaborato, selezionato con la proposta economicamente più vantaggiosa, bensì un bando a massimo rialzo, quasi fosse un appalto per asfaltare una strada. Viene chiarito meglio dall’art.1 che indica nella principale finalità quella del “trattenimento” ossia la “riunione di più persone a scopo di piacevole passatempo” [v. Treccani] e dall’art.14: “è fatto divieto di sublocazione della struttura. È fatta salva la possibilità di concedere, saltuariamente e non in via prevalente, l’utilizzo delle singole aree di spettacolo dietro pagamento di un corrispettivo, a chi ne faccia richiesta per la realizzazione di pubblici spettacoli”.
Viene totalmente formalmente eliminata la natura di teatro come produttore di spettacoli e contenuti artistici, nonché di teatro aperto, crocevia della città che è stata al centro del precedente bando.
Si staglia in evidenza il profilo del recinto: il concessionario organizza suoi eventi di “trattenimento” e saltuariamente può affittarlo a altri organizzatori di spettacoli.
Abbiamo provato a applicare questo bando alla gestione passata: non avremmo mai potuto produrre il Macbettu, L’Avvoltoio (Premio Enriquez), Sonnai con i senza dimora di Cagliari, l’emergente Valentino Mannias, l’ultimo lavoro di Lucia Calamaro che ha appena debuttato a Spoleto, e molti altri spettacoli che vedono impegnati più di 200 artisti all’anno. Non ultimo, in questo momento nella sala grande, è in prova il lavoro di Matteo Sedda, coreografo cagliaritano che lavora con Jan Fabre. Sono nati in questa sede progetti di cooperazione internazionale e locali, una rete dei festival del territorio, collaborazioni al solo scopo di condividere prospettive, possibilità, sogni.
Ci siamo dunque trovati di fronte a un bivio: da un lato la possibilità di candidarci a gestire una quantità di spettacoli di “trattenimento”, rinunciando così a produrre i prossimi Macbettu, L’Avvoltoio, Sonnai… dall’altra la scelta di reinventarci ancora.
Abbiamo scelto di rischiare di essere nomadi, ma di non rinunciare a produrre quel Teatro d’Arte capace di rappresentare la Sardegna in tutto il mondo.
Questa è l’unica scelta possibile per non tradire ciò che siamo.
Cosa chiediamo al Comune?
L’Ente può a suo insindacabile giudizio non dar luogo alla gara in qualsiasi momento.
Noi stessi siamo stati coinvolti in una scelta analoga come conseguenza di un primo atto dell’attuale maggioranza, appena insediata, nei confronti di una gara di cui eravamo partner.
Crediamo sia un atto dovuto in ragione di un criterio di rigore delle istituzioni, che continuiamo a difendere.
Crediamo possa essere un atto di correttezza politica nei confronti della nuova Assessora che ha già dimostrato di essere competente e attenta all’ecosistema culturale della città.
Infine ridarebbe alla Commissione Cultura un ruolo centrale che non ha certo avuto nei mesi passati in questo contesto, nonché l’opportunità di recuperare un tempo per il confronto, ripensare e infine redigere un bando ex novo.
In alternativa, chiediamo di poterci confrontare per individuare un percorso alternativo, lontano dal Teatro Massimo, che possa garantire a Cagliari la presenza del Teatro di Sardegna, sempre nel rispetto di procedure trasparenti come dovrebbero essere le gare ben redatte.
Chiediamo infine – anche esortando l’attenzione del Sindacato – di prestare la massima cura e tutela ai sette lavoratori legati al Teatro Massimo che rischiano di non avere più un lavoro e a cui la semplice clausola sociale non può dare serenità.
In questo periodo ricco delle complessità impreviste e imprevedibile dettate dall’emergenza del Covid -19 il Teatro di Sardegna ha mantenuto i medesimi livelli occupazionali, nonostante anche il pesante ritardo da parte del Comune di Cagliari nell’erogazione degli importi dovuti, attualmente attestati a 17 mesi di ritardo.

Perché abbiamo citato La Schivata nella promozione della conferenza stampa?
La schivata, film di Abdel Kechiche del 2003, rappresenta i desideri, i sogni, i giochi – anche realizzati attraverso il teatro – di due ragazzini di una banlieu parigina repressi da una violenza istituzionale, coercitiva, inaspettata e verticale.

La graduatoria per Genova Città Festival (Comune di Genova)

Genova comunicazione_esito_bando-3_2021

La lettera aperta di Settimio Pisano (Primavera dei Teatri, Castrovillari)

Questo non è un comunicato stampa di Primavera dei Teatri. Le riflessioni che seguono le ho scritte a titolo esclusivamente personale, da operatore culturale e cittadino calabrese. Primavera dei Teatri è in questo caso uno strumento per affrontare un discorso più ampio.
D’altra parte, è necessario spiegare perché l’edizione 2021 del festival non si farà.
Ma questo scritto non ha intenzioni polemiche, né è strumentale ad ottenere qualcosa nella giostra dei contributi regionali. Non è un attacco all’Amministrazione Regionale in carica né alla precedente e mi auguro che, per quanto peso possa avere, non venga strumentalizzato a fini elettorali.
Non è neanche un attacco alla struttura dirigenziale regionale, con la quale intrattengo da sempre relazioni costruttive e collaborative caratterizzate dal rigore professionale di entrambe le parti.
Nella loro sincerità e amarezza, le riflessioni che seguono vogliono contribuire ad aprire un dibattito, quanto più possibile proficuo, sul presente e sul futuro delle attività culturali in Calabria.
Non ha partecipato perché l’Avviso in questione, quello per il finanziamento dei Grandi Eventi, non ci ha messo nelle condizioni di poter partecipare. Perché dopo aver realizzato l’edizione precedente nell’ottobre 2020, con una spesa di oltre 400.000 euro e con uno sforzo straordinario in tempo di pandemia, la Regione Calabria non è riuscita ad assegnarci neanche l’anticipazione del contributo dovutoci essendo giunti secondi nella graduatoria definitiva.
Graduatoria pubblicata a distanza di 11 mesi dalla scadenza dell’Avviso, dopo una interminabile vicenda durata un intero anno (nel merito della quale non è il caso di entrare in questa sede) che, di fatto, ha reso per noi impossibile la partecipazione all’Avviso 2021.
Ai debiti ingenti si aggiunge la perdita di credibilità conquistata a livello nazionale e internazionale in questi ventidue anni.
Abbiamo lavorato tutto l’anno per realizzare l’edizione 2021, opzionando debutti, spendendo mesi nello studio e nella visione delle proposte inviateci, con la cura che da sempre contraddistingue il nostro operato.
È una sconfitta: per noi, per il teatro italiano e per la Regione Calabria che non riesce a tutelare una delle eccellenze del proprio patrimonio culturale.
Non abbiamo partecipato a questo Avviso anche perché siamo stanchi di dover adattare camaleonticamente il nostro progetto a linee guida che mutano ogni anno senza una precisa direzione. Il nostro progetto ha una identità molto chiara e una funzione molto definita. Credo sia giunto il momento di pretendere che la Regione Calabria dimostri altrettanta chiarezza di visione e di programmazione.
Ogni anno le cose cambiano, anche negli stessi uffici regionali: i dipartimenti sono sotto dimensionati in termini di personale, costretti a lavorare in balia della confusione, con un caotico accumulo di competenze su alcuni dirigenti che, nonostante l’impegno e la dedizione al loro ruolo, non riescono a portare avanti il lavoro come vorrebbero.
Esattamente un anno fa era stato disegnato un Avviso per selezionare alcuni grandi eventi e assegnare loro il marchio regionale. Quell’Avviso avrà certamente avuto delle lacune, ma anche alcuni pregi: uno fra tutti il giusto rilievo dato alla qualità artistica dei progetti.
E aveva poi un percorso chiaro, più volte esplicitato pubblicamente dalla allora Presidente: individuare gli eventi culturali e di spettacolo calabresi che nel tempo avevano dimostrato caratura nazionale e internazionale e sostenerne l’attività a lungo termine, attraverso un successivo Avviso triennale che avrebbe dovuto dargli stabilità e un orizzonte di programmazione.
La stessa Amministrazione Regionale, oggi purtroppo orfana di Jole Santelli, pubblica un anno dopo un Avviso che va in tutt’altra direzione, mettendo sullo stesso piano e nello stesso calderone ipotetici grandi eventi culturali, di spettacolo, sportivi, enogastronomici, di natura e benessere, di artigianato.
È possibile valutare con gli stessi criteri un festival di letteratura contemporanea e un meeting di atletica leggera? E soprattutto: può un evento con una chiara funzione culturale essere considerato un “grande evento” secondo i parametri di questo Avviso regionale?
La risposta è no: quando verranno fuori le graduatorie di questo Avviso, non troverete nessun evento con funzione prioritariamente culturale, ma soltanto manifestazioni a carattere principalmente turistico, spettacolare, di intrattenimento, sportivo ecc.
Perché un evento con una funzione culturale preminente, difficilmente può essere inquadrato all’interno degli obiettivi, certamente legittimi, che persegue questo Avviso.
Festival come Primavera dei Teatri (e in Calabria ce ne sono altri) danno il loro contributo alla crescita turistica ed economica regionale, valorizzano i beni artistici e paesaggistici, fanno marketing territoriale e place branding, ma tutto questo lo fanno come conseguenza di un progetto che ha una funzione differente, orientata allo sviluppo culturale del territorio e delle sue comunità, alla crescita di cittadini più consapevoli, al ricambio generazionale e al sostegno ai giovani artisti, all’innovazione e al rischio culturale, ai processi sociali e di partecipazione democratica.
Tutti concetti di cui, in questo Avviso, non c’è alcuna traccia. Se la Regione Calabria, a questo punto attraverso la prossima Amministrazione, vorrà seriamente sostenere il settore degli “eventi” nella sua interezza, dovrà decidersi una volta per tutte a normare il sistema attraverso una differenziazione per funzioni e non più per ordine di grandezza economica, per storicità e nemmeno per discipline artistiche.
Per invertire la rotta, bisognerebbe investire con continuità e stabilità sulle imprese culturali e smetterla di “dopare” gli eventi, gonfiandoli e sgonfiandoli come palloncini, immettendo risorse pubbliche senza una reale programmazione, cambiandole regole del gioco ogni anno, pubblicando gli Avvisi in estate e le graduatorie ad eventi già realizzati.
In Calabria, come troppo spesso succede, questa verità assume dimensioni smisurate: sono anni che assistiamo a conferenze stampa in cui vengono esibiti i milioni di euro stanziati a sostegno di questo o quel settore.
Come vengano poi impiegate queste risorse, attraverso quali strumenti tecnici vengano selezionati i beneficiari, a che condizioni di lavoro questi ultimi siano costretti, quali risultati vengano raggiunti e in che tempi, quale sia la reale efficacia della spesa pubblica è questione che interessa a pochissimi.
La speranza è che la prossima Amministrazione Regionale, nel gestire il settore delle attività culturali, voglia mettere in campo la necessaria competenza ed esperienza amministrativa.
L’unico profilo adatto a generare un reale processo di cambiamento nel settore delle attività culturali in Calabria è quello di un manager, qualcuno in grado di governare i processi.
La visione è importante ma non sufficiente, se non accompagnata dalla competenza manageriale e dall’esperienza amministrativa.
Le responsabilità delle impasse create dalla burocrazia sono esclusivamente politiche. Non c’è e non può esistere un’astratta e spersonalizzata responsabilità della burocrazia: i processi burocratici sono governati dalla politica. Il fallimento delle classi dirigenti locali, a tutti i livelli e di tutti i colori politici, nel governare il settore culturale in Calabria è lampante.
Al notevole spiegamento di risorse finanziarie messo in campo dalle ultime Amministrazioni Regionali, di centrosinistra e di centrodestra, è corrisposta una evidente approssimazione dal punto di vista gestionale. In questo momento, prendendo ad esempio l’ambito specifico del teatro, l’unico settore ad essere regolamentato in maniera chiara è quello delle residenze teatrali.
Perché? Perché è l’unico settore in cui gli Avvisi pubblicati dalla Regione Calabria sono vincolati al rispetto della normativa nazionale concepita ed elaborata all’interno dell’Intesa Stato-Regioni: la Regione Calabria dunque, non solo assume un sistema di norme preciso e inderogabile ma, cosa più importante, assume la visione seria e autorevole che ha ispirato queste norme dopo anni di confronto serrato tra il Ministero e gli addetti ai lavori di tutta Italia.
Questo esempio suggerirebbe che, laddove le classi dirigenti locali non si dimostrano in grado di governare adeguatamente un settore, la gestione di quest’ultimo dovrebbe tornare di competenza statale. Gli operatori culturali e i cittadini calabresi devono avere le stesse opportunità del resto degli italiani.
Se le classi dirigenti locali non sono in grado di garantire una parità di diritti, allora lo Stato deve intervenire. Può sembrare una provocazione e, ahimè, per le percentuali di realizzabilità della proposta in parte lo è.
E siamo arrivati al nodo cruciale, al tema da affrontare e risolvere una volta per tutte, senza il quale tutto il resto dei singoli problemi non può essere visto e discusso in una luce chiara: il tema del posizionamento e della funzione.
Qual è il reale posizionamento del settore delle attività culturali in termini di considerazione da parte delle classi dirigenti e dei cittadini nella nostra regione?
È un posizionamento da serie C.
Da quanti anni assistiamo a identici proclami sull’importanza della Cultura come volano di crescita (economica e turistica naturalmente)? Al di là di questi vuoti slogan, il settore delle attività culturali gode di scarsissima considerazione: è l’ultima ruota del carro di qualsiasi Amministrazione a qualsiasi livello e viene governata di conseguenza, chiunque può occuparsene.




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