Le recensioni di “ateatro”: Bersaglio su Molly Bloom
Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa
Dopo decenni di lavoro matto e disperatissimo, rigoroso e solitario, a malapena sopportati dalle istituzioni e quasi totalmente ignorati dalla critica, Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa cominciano finalmente a ottenere lattenzione che meritano. Il gruppo torinese era emerso (come le Albe di Marco Martinelli e Ermanna Montanari) alla fine degli anni Ottanta, con ritardo rispetto alla «seconda onda» del nuovo teatro italiano. Aveva subito incuriosito per le sue mirabolanti macchinerie teatrali, opera della più inventiva scenografa italiana di questi decenni, Daniela Dal Cin. La semplice scatola-armadio bianca da cui emergeva la prima edizione delle Serve era progressivamente concresciuta in architetture di legno e ferro, a metà tra il labirinto e lattrezzo di tortura, spesso inglobando attori e spettatori, lungo una linea che discende direttamente (e dunque con uno scarto di un paio di decenni) dalle invenzioni spaziali del Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski (magari filtrato da qualche intuizione ronconiana), anche se con un immaginario visuale declinato manieristicamente (e spesso con ironia), in un proliferare via via sempre più barocco e colorato.
In parallelo, sul piano vocale, il regista Marco Isidori costruiva per i suoi attori generazioni di giovani interpreti letteralmente forgiati da una dura disciplina, alla perenne ricerca di una irraggiungibile perfezione partiture vocali dove la sonorità veniva esplorata in tutte le sue sghembe prospettive, spezzata e ritmata incessantemente, ora stirata ora compressa esplosivamente. Il modello amato (e dichiarato) da Isidori è da sempre Carmelo Bene, per il suo lavoro sulla phonè e per la sua tecnica; ma il regista è stato anche abbagliato dalla travolgente energia scenica di una Marion DAmburgo. Un mix per certi aspetti improbabile, ma che si è poi incarnato nei virtuosismi e nella potenza di Maria Luisa Abate, da sempre primattrice della compagnia.
Cera poi una vena di ruvida e scontrosa follia a ispirare la sequenza degli spettacoli strenuamente autoprodotti (compreso un lavoro dappartamento per un unico spettatore, a galoppare per unora in groppa a una tigre circondato da una decina dattori), sostenuta dalla convinzione di essere nel giusto malgrado tutto e tutti. Ma questa certezza non poteva essere confermata dallesterno, dagli apprezzamenti per questo o quellaspetto di uno spettacolo (spesso a colpire erano le spiazzanti trovate scenografiche). Piuttosto nasceva dalla convinzione di una precisa idea di teatro che era ben presente nella mente di Marco Isidori, chiara e lucida, ma faticava a farsi percepire.
Di questa idea di teatro il recente Bersaglio su Molly Bloom è un frutto maturo ed equilibrato. Per certi aspetti, lo spettacolo va nella direzione esattamente contraria rispetto alloriginale joyciano: linvenzione del flusso di coscienza, che avrebbe segnato tutta la letteratura del Novecento, viene letteralmente ribaltata, e il vagabondare dellio nel monologo notturno viene declinato come pura oggettività, parole e suoni disincarnati. La voce di Molly Bloom, il suo fantasticare tra sonno e veglia, tra memoria e desiderio, vengono oggettivati, epicizzati e affidati addirittura a un coro, che si esibisce in una partitura musicale. In effetti il copione, sul leggio di fronte al regista-direttore dorchestra, è meticolosamente rimarcato da segni e segnacci neri, sottolineature, cesure, grumi, in una notazione impressionisticamente efficace, un codice di pause e crescendo, assoli e cori.
A sottolineare lexploit quasi-canoro degli attori (e il loro affiatamento), la scenografia li immobilizza imbozzolandoli crudelmente a una enorme e metaforica struttura-conchiglia, propriamente la «Grande Conchiglia» di Daniela Dal Cin, che occupa lintero boccascena. Al centro ovviamente lei, Maria Luisa Abate, e tutto intorno come lei biancovestito il coro di Grazia Di Giorgio, Alessandro Curti, Roberta Cavallo, Elena Serra, Davide Barbato, Paolo Oricco, Isadora Pei, Veronica Gallo e Michele Di Rocco. A colpire è la qualità vocale, laffiatamento nelleseguire quella che è diventata una vera e propria orchestrazione, un lavorio minuzioso e robusto che porta a unora di concertato ricco di sorprese e modulazioni.
Però limitarsi a sottolineare questi due aspetti (gli exploit scenografici e vocali) significa fare un gran torto ai Marcido e alla loro idea di teatro. Perché a tenerli così separati sfugge il loro agganciarsi in una macchina teatrale che comprende ovviamente lo spazio scenico e gli attori, ma ingloba sempre anche gli spettatori: ogni volta «tirati dentro», con modalità sempre diverse, a quel tritaparole-tritacarne che è il teatro. In questo caso, il pubblico è come schiacciato e percosso dalla iper-frontalità della scena, investito dalla massa sonora che quella conchiglia-megafono riversa senza sosta sulla platea. Infatti quelle dei Marcido non sono mai macchine celibi, sazie di una perfezionistica autosufficienza, ma giocano sempre ad agganciare e intrappolare con modalità ogni volta differenti lo spettatore, aggredendolo sui due versanti. Da un lato la creazione di uno spazio che è sempre spazio di relazione (una relazione tanto profondamente necessaria che a volte risulta addirittura perversa, sadicamente determinata. Dallaltro linvenzione di una massa sonora destinata a risuonare nei corpi e a farne vibrare le viscere. Sono due esercizi che presuppongono una sapienza, ovvero una idea di teatro intuita e perseguita con ferrea determinazione. Ma anche un duro lavoro, esercizio e affiatamento. Una fatica che pochi, oltre a questi forsennati autodidatti e puntigliosi pedagoghi, possono sopportare.
Bersaglio su Molly Bloom
Venendo lultimo capitolo dellUlisse di Joyce a manovrare nelle acque territoriali dei cantanti Marcido
Direzione di Marco Isidori
«Grande Conchglia» di Daniela Dal Cin
Con Maria Luisa Abate e Grazia Di Giorgio, Alessandro Curti, Roberta Cavallo, Elena Serra, Davide Barbato, Paolo Oricco, Isadora Pei, Veronica Gallo e Michele Di Rocco
Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa
Milano, Teatro Verdi
L’indescrivibile teatro di Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa descritto da Oliviero Ponte di Pino sul “manifesto”.
Oliviero_Ponte_di_Pino
2004-06-12T00:00:00
Tag: Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa (13)
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